La recensione del film Il collezionista di carte

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IL COLLEZIONISTA DI CARTE - RECENSIONE

Il collezionista di carte recensione
Recensione

di Mirko Nottoli
[Il collezionista di carte recensione] - Ci sono film che lasciano interdetti. Il collezionista di carte è uno di questi. Del resto non è sempre facile riuscire a esprimere un giudizio netto su un evento da poco concluso. Siamo sicuri che sia un bel film. Non potrebbe essere altrimenti un film diretto dal leggendario Paul Schrader, autore di tanti capolavori scorsesiani, da Taxi driver a Toro scatenato passando per L'ultima tentazione di Cristo (Willem Dafoe che ritorna). Non potrebbe non essere bello un dramma così intenso, profondo, accorato, che tocca temi fondamentali come il senso di colpa, la vendetta, la redenzione, il perdono. E poi c'è Oscar Isaac di cui siamo fan della prima ora, mica da adesso che ha fatto Dune! Resta da capire quanto bello. Molto bello o poco bello? Perchè c'è qualcosa che per tutta la durata de Il collezionista di carte non è riuscita a convincerci fino in fondo, qualcosa che ha disassato la perfezione della quadratura del cerchio. Abu Ghraib. Per l'amor del cielo, è ovvio che se devi descrivere l'orrore, se devi personificare il male assoluto, un'onta incancellabile, un peccato da cui non ci può essere riscatto, o si ricorre, come fatto finora, ai campi di sterminio nazisti o, oggi probabilmente nulla può rappresentarlo meglio delle torture inflitte e subite nel carcere di Abu Ghraib. Non a caso, infatti, la descrizione che ne fa Schrader è la descrizione dell'Inferno. Ma se nulla può rappresentare il male meglio di Abu Ghraib, non diventa, ci chiediamo, anche scontato? Troppo evidente, troppo radicale, senza alcun margine di manovra, senza se e senza ma. Il punto è proprio questo, che ne Il collezionista di carte tutto è portato all'eccesso, tutto è parossistico, ogni decisione è estrema, ogni azione esasperata. Il personaggio interpretato da Oscar Isaac presenta non pochi punti di contatto con il Travis Bickle di Taxi driver. Ma se là De Niro vagava come un fantasma lasciandosi trasportare dalla casualità degli eventi a cui era incapace di opporsi, qua il comportamento di Oscar Isaac/William Tillich, pur nella follia disperata, è ponderato, matematico, maniacale. Ne deriva, soprattutto alla luce dell'epilogo del film, un senso di pessimismo quasi insostenibile, un'atmosfera greve e opprimente di ineluttabilità per cui nulla pare avere significato, nulla serve, qualsiasi cosa tu dica o faccia è destinata al fallimento in quanto non esiste possibilità di salvezza, non esiste alcuna via di fuga. Ma se nulla ha senso allora, forse, non ha senso neanche fare film. E ancora meno andare a vederli. (La recensione del film "Il collezionista di carte" è di Mirko Nottoli)
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