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Il Cecchino recensione] - Tu vuò fa o francese! Michele Placido, dopo i recenti allori mietuti in patria, tenta il battesimo del successo Oltralpe, concedendosi al cinema dei nostri algidi e indolenti cugini. Il suo Cecchino, nato dall'incrocio di penne di Cédric Melon e Denis Brusseaux, è liberamemte ispirato agli action movie che hanno sdoganato il Placido regista, consegnandolo con troppa facilità alla ribalta. Ma di "Romanzo criminale", ahimè, ce n'è uno solo. La rarefazione della trama a favore di un ispessimento fastidioso delle atmosfere, iniziata con "Vallanzasca", prosegue in questo esperimento francofono (e francofilo) arrivando alle estreme conseguenze: una storia fatta di personaggi e di fumogeni, dove i primi punteggiano autisticamente e inutilmente la cortina che li avvolge. Placido si gioca la carta dell'iconografia, disegnando un duello all'ultimo tiro tra un capitano della Polizia parigina e un cecchino assoldato a una banda di rapinatori. Ma sbaglia, insinuando nel confronto a due (che, se sviluppato in sobrio isolamento, poteva rivelarsi davvero interessante) un pout pourri di situazioni, personaggi accessori e riflessioni moraleggianti che aiutano la forza di gravità ad abbassare le palpebre e i livelli di tolleranza. Il Cecchino, che voleva chiaramente essere un poliziesco caricato a psicologia, una selva di sottotrame mescolate e sovrapposte incastrata in una visione esistenzialista e fatalista dell'essere uomini, finisce per essere un dramma movimentato congelato in una dimensione asettica e irreale: una bozza malriuscita del progetto ambizioso che fu. La regia di Placido si dimostra, ancora una volta, difettosa di ordine e di umiltà: troppo occupato a ribadire i suoi topoi filmici, abbondando con le caricature negative e le frasi a effetto, l'attore e cineasta pugliese non c'entra l'anima della storia, non sviluppa adeguatamente e in modo coerente una linea narrativa, adescando una quantità di elementi che avrebbero dovuto irrobustire il fil rouge e che invece riescono solo a sbiadirlo. La fotografia di Arnaldo Catinari inquadra con dovizia di grigi e di esalazioni una Parigi da cartolina noir, che però affoga i personaggi, piuttosto che esaltarli. E il povero Mathieu Kassovitz, lasciato solo a disquisire di etica criminosa e di dubbi metafisici, non è abbastanza per giustificare uno spiegamento di forze e di speranze tanto ottimistico da includere anche le stelline nostrane Luca Argentero e Violante Placido. Trasferta fallita. Pareggio mesto e palla al centro.
(La recensione del film "
Il Cecchino" è di
Elisa Lorenzini)
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