La recensione del film Il caso Spotlight

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IL CASO SPOTLIGHT - RECENSIONE

Il caso Spotlight recensione
Recensione

di Giulia Mazza
[Il caso Spotlight recensione] - Quando nel 1976 uscì "Tutti gli uomini del presidente", il cinema non si arricchì solo di un bel film sull'inchiesta del Washington Post che rivelò il Watergate nel 1972 e portò, nel 1974, alla richiesta di impeachment e alle dimissioni dell'allora presidente Nixon. A uscire vincente da quella pellicola fu soprattutto una certa idea di fare giornalismo. Ancora meglio: di essere (bravi) giornalisti, con tutte le conseguenze del caso. A quarant'anni di distanza "Il caso Spotlight", per la regia di Tom McCarthy, riporta sullo schermo quello stesso mondo e anche – va detto – un certo modo di fare cinema che forse si è un po' perso. La storia è nota: nel 2001 il gruppo di giornalisti investigativi noto come "spotlight" del Boston Globe inizia a indagare su un caso di abusi compiuti su minori da un sacerdote della diocesi negli anni Settanta, e insabbiati dalle autorità ecclesiastiche. Partita su iniziativa del neodirettore Marty Baron (Liev Schreiber), l'inchiesta porterà i quattro giornalisti – il caposervizio Robby Robinson (Michael Keaton), Michael Rezendes (Mark Ruffalo), Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams) e Matty Carroll (Brian d'Arcy James) – a scoprire non solo uno scandalo, ma un vero e proprio sistema di copertura in atto da anni. Un'inchiesta che, nel 2003, varrà al team spotlight il Premio Pulitzer per il servizio pubblico. La forza del film sta nella sua scrittura, che cerca di essere pulita, chiara, precisa, il più oggettiva possibile, come lo è stata l'indagine condotta nel 2001 dai giornalisti. Senza cercare sensazionalismi o prendere posizioni inutilmente anticlericali, la pellicola racconta non solo la progressiva scoperta di una terribile verità, ma anche come questa – inserendosi nelle vite delle persone coinvolte – metta in discussione chi siamo e in cosa crediamo. Lo scandalo della pedofilia nella Chiesa viene affrontato con appassionante onestà, mostrando non solo il dolore causato alle vittime e ai loro familiari, ma come questo "tradimento" della fiducia mina le certezze non solo in chi crede, ma le stesse fondamenta su cui poggia un'intera comunità. Un tradimento il cui colpevole non è solo l'istituzione-Chiesa, ma anche la società laica e lo stesso giornalismo, che deve ritrovare la capacità di sapersi perdonare per non aver visto (o voluto vedere), di mettersi da parte per un bene superiore, ma di tendere con determinazione – sempre – verso la verità. "Il caso Spotlight" è una prova autoriale e attoriale ottima, dove i protagonisti non sono eroi senza macchia e senza paura, ma esseri umani che, anche sbagliando, cercano comunque di mostrare rispetto alla loro professione. Speriamo che agli Oscar 2016 porti a casa qualche premio tra quelli cui è stato nominato: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior attore non protagonista (Mark Ruffalo), miglior attrice non protagonista (Rachel McAdams) e miglior montaggio. (La recensione del film "Il caso Spotlight" è di Giulia Mazza)
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