Cinema4Stelle

.       .

Vai ai contenuti

IERI OGGI E...

I PUGNI IN TASCA
di Marco Bellocchio

di Delio Colangelo
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
"Sono sempre stato combattuto, fin dal mio primo film, tra il mettere in primo piano l'Italia o lasciarla sullo sfondo. Ne "I Pugni in tasca" c'era una scena nella quale Alessandro entrava in una sezione del Partito Comunista Italiano, a Bobbio. Nelle mie intenzioni questa scena avrebbe dovuto raccontare la mediocrità della vita di sezione di un partito dal passato rivoluzionario. Alla fine questa scena non è stata girata. E si impose il furore claustrofobico dei rapporti familiari. Eppure questa dimensione esasperatamente personale, la piccola storia inverosimile di una famiglia di epilettici in un piccolo paese piacentino fece il giro del mondo". Queste parole di Marco Bellocchio raccontano bene la tensione creativa che ha prodotto quest'opera prima di grande successo. Una piccola vicenda di solitudine e malattia, di stanze anguste e di vite annoiate ha anticipato alcuni importanti temi che saranno, tre anni più tardi, ampiamente sviluppati da quel grande movimento collettivo che è stato il 68. Così "I Pugni in tasca" diventava un caso nazionale, i più illustri intellettuali del tempo ne discutevano – Mario Soldati, Italo Calvino, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini – e otteneva la Vela d'argento per la miglior regia al Festival di Locarno. Quella tensione creativa tra dimensione intima e dimensione sociale e politica sarà una costante nei film di Bellocchio e, alcune volte, non troverà il giusto connubio: sarà malguidata dall'urgenza politica (Sbatti il mostro in prima pagina) oppure si chiuderà in una dimensione troppo intima e incomprensibile (il periodo "fagioliano"). In ogni caso, tutto comincia con "I Pugni in tasca" dove un ragazzo – che sia il regista o il protagonista non importa – è "affetto" (come pensavano i reazionari) da una esagerata e vitale volontà di far esplodere l'unità di base della nostra società: la famiglia. Centro propulsivo di una mediocrità soffocante, la famiglia è nel film il bersaglio di una feroce critica da cui, però, non ci si può tirar fuori (ognuno nasce in una famiglia). Essa, dunque, ci lega fin dalla nascita in una fitta rete di relazioni ipocrite ed autoritarie che l'uomo non può che subire anzi, che fanno l'uomo stesso. Sandro (Lou Castel), l'anormale, capisce che l'unico modo, l'unica soluzione – sempre che "soluzione" sia la parola adatta – è quella di far scoppiare la famiglia, disintegrarla per poi raccoglierne i cocci/contraddizioni. È la logica del far esplodere le contraddizioni. Logica nichilista di un giovane Bellocchio che crede in una prospettiva rivoluzionaria. La famiglia è, quindi, il luogo comunemente accettato dell'ipocrisia e della mediocrità e non stupisce il fatto che l'irrequieto Sandro si opponga con gesti plateali mentre il fratello Augusto (Marino Masè) – e unico "normale" della famiglia – la accetti senza riserve. La famiglia, infine, intesa come una società in miniatura dove le abitudini cementano una convivenza forzata che mantiene in gabbia i progetti e i desideri di ognuno. La tesi di Bellocchio è fin troppo chiara: la famiglia produce una comunità di individui infelici e repressi. E così il momento di aggregazione per eccellenza, il pranzo, diventa un campo di micro-scontri tra personaggi ben delineati: la presenza ingombrante del fratello normale, Sandro che stuzzica la sorella Giulia (Paola Pitagora) con cui ha un rapporto incestuoso, la madre cieca (Liliana Gerace) sopportata malvolentieri e il fratello idiota Leone (Pierluigi Troglio) maltrattato da tutti. E la stessa casa, grande e isolata, è un luogo vuoto e di completa inattività in cui il tempo non passa mai, attraversata da gesti inconsueti (Sandro che si stende sui tavoli, le acrobazie sui letti, grida immotivate). Sandro, Giulia, Leone trascorrono le giornate gironzolando senza meta o stesi sul letto intontiti da pensieri che non porteranno ad alcuna azione; la loro esistenza si esplica in una prigionia domestica da cui non riescono a liberarsi anzi, costruiscono una realtà ovattata e protetta in cui elaborano piccole strategie familiari. Vivendo una realtà destorificata proprio perché priva di una progettualità si condannano ad una eterna coazione a ripetere piccoli e insignificanti episodi familiari che animano le loro boriose giornate. Non è difficile vedere dietro questi personaggi quei "Matti da Slegare" che la società capitalista aliena, proprio perché incapaci di conformarsi agli standard di produzione e che, nel film, gravano sulle spalle di Augusto, l'unico integrato. Sandro, che ne ha soggezione, decide di sfidarlo, "da uomo a uomo", liberandolo dal peso che gli schiaccia i suoi sogni – sogni egoisti, cinici, borghesi. Progetta di eliminare tutta la famiglia, inutile alla società, in modo da permettere ad Augusto di sposarsi e trasferirsi in città. La prima vittima sarà la madre, gettata da un dirupo come fosse un incidente; quella madre così ingombrante e incapace di comprendere i problemi dei figli (Sandro "Come sono infelice!" la madre "Vuoi una caramella?"); madre di cui Sandro non avrà rispetto neppure dopo la morte, giocando intorno alla bara o facendo di tutta la sua roba un bel rogo liberatorio. La morte svela il progetto individualistico di Augusto pronto a reinvestire i soldi "guadagnati" con la scomparsa della madre per il suo matrimonio e conseguente allontanamento da quella casa di "internati". Ecco la morale borghese e ipocrita che Bellocchio vuol fustigare di fronte al nichilismo omicida ma autentico di Sandro (mostrare questa autenticità che la psichiatria soffoca con le armi della normalizzazione e dell'internamento, sarà l'obiettivo del film "basagliano" Matti da Slegare in collaborazione con Petraglia, Rulli, Agosti). Sandro avrà raggiunto il suo scopo ovvero far venir fuori la vera natura di Augusto; la sua è una strategia di svelamento – la partita di carte – e, una volta appurata la sua estraneità a tutto ciò che il fratello rappresenta – la festa -, non potrà far altro che condurre fino alla fine la sua logica omicida. Logica che si rivolgerà contro di lui, preso da un attacco epilettico sulle note della Traviata. I Pugni in Tasca è un film estremo, fatto di distruzione, di anarchia, di nichilismo forse anche profondamente adolescenziale (e non banalmente adolescenziale, come i film di oggi). Un Capolavoro che rimbalza continuamente tra marxismo e psicanalisi e, tuttavia, di una vitalità tale da non doversi rinchiudere nelle sovrastrutture del genere "impegnato".


Torna ai contenuti | Torna al menu