La recensione del film I Predatori

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I PREDATORI - RECENSIONE

I Predatori recensione
Recensione

di T. Di Pierro
[I Predatori recensione] - Due realtà a confronto, due mondi paralleli in antitesi, eppure capaci di scontrarsi tra di loro in maniera assurda e tragicomica. I predatori - lo scoppiettante debutto alla regia di Pietro Castellitto, vincitore del Premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura allo scorso Festival di Venezia e che lo vede nuovamente in veste di attore dopo La profezia dell'armadillo -, accosta due famiglie della società moderna non molto distanti da quelle di oggi, per approfondire problematiche diverse e un desiderio solo comune a tutte: quello di libertà. Da una parte abbiamo una famiglia alto borghese, con padre medico, madre regista e figlio ricercatore, dove i problemi di vita quotidiana legati alla noia e ad una routine disperante sfociano in dipendenza da droga, alcool, tradimento coniugale e infine pazzia, quasi a dimostrazione che una vita di successi non basta a garantire la felicità. Dall'altra una famiglia proletaria e fascista dove gli ideali sono tutti sbagliati, ma l'amore è sincero, scalda il cuore e intenerisce lo spettatore, portando il paragone tra le due famiglie a plausibile immagine del proprio vissuto domestico. Se il primo nucleo familiare insegna ad allontanarsi dalla superficialità e dall'edonismo, il secondo insegna a screditare i fallaci culti del passato, l'esaltazione della violenza e le dottrine nazionaliste, ritrovando comunque nella figura del padre di famiglia, incarnata da Giorgio Montanini, l'esemplare di uomo buono che lotta contro una società oppressiva e degradante nei confronti dei più miseri, capace di affrontare le avversità di ogni giorno con l'affetto dei suoi cari. Castellitto dal canto suo si riserva il ruolo di uno dei personaggi più emblematici del film, il giovane Federico, figlio della coppia alto borghese interpretata dagli ottimi Massimo Popolizio e Manuela Mandracchia, ricercatore universitario amante di Nietzsche, personificazione ad hoc degli ideali giovanili del nostro tempo, teso ad evadere da uno stile di vita che evidentemente gli sta stretto, ma che lo riduce infine alla follia. Castellitto stesso in funzione di regista abbraccia il medesimo desiderio di libertà del suo personaggio, ricoprendo un ruolo a lui del tutto nuovo in ambito cinematografico (anche se familiare) con l'obbiettivo di voler rompere gli schemi fissi del cinema italiano tradizionale, con ironia mordace e movimenti di macchina particolari, ma non eccessivamente abusati, mantenendo comunque la trama in una forma classica. "La recitazione degli attori compromette il clima della scena" afferma Castellitto e difatti senza l'abilità di questi ultimi il film risulterebbe incompleto, privo di quel tono cinico che tanto lo caratterizza e che pone appunto la più importante delle questioni: siamo prede o predatori? Questa è la domanda che il regista pone al suo pubblico, a chi crede in un ideale di libertà e di speranza e si sente continuamente in balia della società odierna (e risulta pertanto una vittima sacrificale) e a chi, pur sentendosi predatore, ha ormai subito un cambiamento tale da essere preda del suo stesso esibizionismo e sfoggio di ricchezza, per poi rimanerne invischiato del tutto senz'altra via d'uscita se non appunto la pazzia, come quella dimostrata da Federico nella conclusione del film che sfoggia un bel paio di baffi alla Nietzsche. "Le opere prime", dichiara Castellitto, "sono come un testamento", si auspica tuttavia che quest'originale e sorprendente opera prima possa fare luce sulla modernità a lungo, con la speranza che sia la prima di una lunga serie di opere del cambiamento. (La recensione del film "I Predatori" è di Tommaso Di Pierro)
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