di E. Lorenzini
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I, Frankenstein recensione] - Mary Shelley ai tempi di Underworld. Riducendo all'osso le componenti di I, Frankenstein, questa è l'impressione: un progetto di attualizzazione di un mito romantico-decadente volto senza mezzi termini nell'action fantasy che stravince al botteghino. Dopo aver esplorato, nella saga sopracitata, il conflitto tra vampiri e lupi mannari e aver così cavalcato il successo twilightiano dei mostri belli&dannati che impazza nel target commerciale compreso tra i quindici e i trentacinque anni, Tom Rosenberg e il team della Lakeshore Entertainment hanno ben pensato di resuscitare l'icona di Frankenstein per farne il nuovo ago della bilancia nella lotta tra fazioni mostruose contrapposte. Volendo tentare un approccio meno romanzesco e più glamour ad una materia letteraria fin troppo abusata, i produttori e il regista Stuart Beattie hanno attinto, ancora una volta, al talento visionario di Kevin Grevioux, autore della graphic novel a cui I, Frankenstein si ispira.
Come per Underworld, ci troviamo di fronte alla resa cinematografica spettacolare, ipercinetica e poco originale di un buon pezzo di arte contemporanea.
Duecento anni dopo l'esperimento di laboratorio che lo aveva creato, il figliocco ibrido del dottor Frankenstein è ancora in circolazione e ha le fattezze molto poco obbrobriose di Aaron Eckhart. In una metropoli marvelliana, in cui impazza lo scontro tra i demoni guidati dal principe Naberius e il vigile schieramento di Gargoyle capeggiato dalla sacerdotessa Leonore, questo entieroe moderno che suscita curiosità morbose per la sua natura zombiesca è il perno attorno a cui si sviluppa l'ennesimo dualismo tra male e bene assoluti.
Spogliato della conflittualità psicologica che ha reso immenso il mostro di Mary Shelley, il Frankenstein di questa scialba riduzione ipercommerciale è fin troppo bello, atletico e talentuoso per poterne replicare il fascino. E anche lo scenario in cui è inserito, nonostante l'esattezza tecnica dell'esecuzione e il trionfo di effetti speciali, è troppo affine a quello di altri blockbuster dello stesso filone, dai vari capitoli di Underworld, passando per Van Helsing, Matrix e i tanti prodotti ispirati a creature leggendarie dal dubbio profilo, per poter ambire a una piena promozione.
Peccato, perchè l'idea di una rilettura della mostruosità ambigua di Frankenstein in chiave fumettistica poteva funzionare. Regista e produttori scontano la pigrizia dimostrata nell'aver replicato la graphic novel di Grevioux senza umanizzare il protagonista, lasciandolo aureolato di superpoteri e semplificando il suo conflitto interiore in nome di una più scontata goliardia da quindicenni affamati di sangue.
Quel che sulla carta è innovativo, sullo schermo necessita quasi sempre di un arricchimento in termini di scavo psicologico: altrimenti, gli zeri degli incassi non bastano a scongiurare l'anonimato.
(La recensione del film "
I, Frankenstein" è di
Elisa Lorenzini)
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