di D. Di Benedetti
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I Corpi Estranei recensione] - C'è una maledizione che affligge il cinema italiano, in parte dovuta allo scarso livello culturale dello spettatore medio, in parte dovuta ai registi stessi, convinti che girare un film impegnato significhi necessariamente raccontare astrusità attraverso una lentezza narrativa invidiabile solo a un'opera di Ibsen. Se escludiamo alcuni casi eccezionali di registi come Virzì, Garrone, Vicari e Luchetti, i prodotti che si realizzano, coerentemente a queste due motivazioni, sono fondamentalmente due: da un lato, commedie di second'ordine con battute spesso volgari che ripresentano continuamente gli stessi personaggi e le stesse situazioni, dall'altra film definiti dai propri autori come "impegnati" ma poi vuoti di contenuti. A questa categoria appartiene il film di Massimo Locatelli "I corpi estranei", presentato in concorso all'ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Se non fosse stato per Filippo Timi, uno dei più talentuosi attori italiani d'oggi, il film non avrebbe neanche meritato il tempo speso per scriverne una recensione, talmente grande è il vuoto contenutistico della sua storia e l'inconsistenza del suo messaggio. La storia è quella di Antonio (Filippo Timi), un uomo solo a Milano con il suo piccolo figlio Pietro, affetto da un grave tumore al cervello e per questo ricoverato in un ospedale onco-pediatrico. La sua vita s'incrocia con quella di Jaber (Jaouher Brahim), migrato in Italia da poco con la sua famiglia per sfuggire agli scontri della primavera araba, giunto all'ospedale per assistere il suo amico Youssef. La malattia sarà l'occasione per creare un contatto tra i due.
Stupisce che una storia del genere, ricca di buoni e interessanti presupposti narrativi e contenutistici, non riesca a raggiungere neanche uno degli scopi che si è preposta di perseguire. Prima di tutto, il regista pecca di autoreferenzialità, realizzando inquadrature indubbiamente buone (e a tratti ruffiane) che dissolvono nel nulla il proprio potere comunicativo perché il più delle volte finalizzate solo alla pura estetica. Locatelli si aliena tanto quanto sono alienati dalla società i suoi protagonisti, la cui interazione è limitata a qualche scambio di battute nei corridoi d'ospedale, costantemente inseguiti da una macchina da presa ossessiva e onnipresente. Coerente forse alla visione artistica politicizzata del suo autore, "I corpi estranei" rappresenta alla perfezione la deriva in cui si ritrova una certa parte della politica italiana (e con essa i suoi fautori), ormai lontani dalla vera realtà sociale e artistica, rifugiati in un mondo avulso dall'umanità autentica, convinti che siano l'estetica e la retorica, e non il loro contenuto e il loro messaggio, a essere fondamentali per attivare un'interazione con un pubblico che, se opportunamente selezionato, non è così sprovveduto come si crede. Gli unici "corpi estranei" nell'opera di Locatelli, allora, sembrano essere non quelli dei protagonisti ma quelli degli spettatori seduti in sala, esclusi da ogni tipo di dialogo e intontiti dalla retorica dell'opera stessa, convinta di parlare al cuore dell'altro ma in realtà impegnata in un soliloquio incomprensibile tanto quanto il dialetto pseudo-nordico del suo protagonista.
(La recensione del film "
I Corpi Estranei" è di
David Di Benedetti)
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