HOLLYWOOD PARTY di Blake Edwards
di Chiara Roggino
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
"La Pantera Rosa", "Colazione da Tiffany", "Victor/Victoria": film nati dallo spirito di Blake Edwards, cineasta sottovalutato più di quanto i suoi film culto non lascino supporre. Ecco un'altra pellicola dove fantasia stilistica e genio comico del regista si alleano alla raffinata follia del suo attore feticcio, Peter Sellers. "Hollywood party" è una coppa di champagne dove ogni bolla attende il suo turno per risalire lentamente in superficie prima di dilatarsi in scoppiettanti fuochi d'artificio per una crescente incontenibile euforia. L'abuso d'alcol può giovare alla salute più di quanto non si creda. Lo stuntman indiano Hrundi V. Bakshi (Peter Sellers) si trova per caso a una festa. Padrone di casa, il produttore del film "catastrofizzato" dalla sbadata comparsa. La sintesi è breve, probabilmente a immagine dello script consegnato ai produttori da Blake Edwards e dal suo co-sceneggiatore. Indubbiamente l'idea del film deriva strettamente dalla sua location: un'ipersofisticata villa hollywoodiana in cui creare un iperbolico festival di gags. Gli incaricati rifiutarono la proposta sì da costringere Edwards a sobbarcarsi anche dell'aspetto produttivo. Per una buona causa, giacché la scenografia valse davvero la pena. Nella villa c'è tutto: il lago interno, la piscina, il contatore rimovibile è acceso, spento, scivola per poi spostarsi su, giù, a destra, a sinistra...Non sarà la padrona di casa a introdurci per le stanze dell'ampia dimora. Una guida esilarante la scoprirà con noi passo passo. Dalla sua Bakshi può servirsi del lago, sovrastato da un ponte che conduce al salone, per sciacquare la sua scarpa bianca annegata accidentalmente nel fango. Ma quest'ultima abbandonerà presto il piede del suo proprietario naufragando sulla sponda del lago dove, ad attenderla, una cascata la sospingerà in un altro lago nel bel mezzo mezzo della stanza, dove gli ospiti sorseggiano il loro aperitivo. E' con l'aiuto di una grande pianta esotica che Bakshi cercherà di catturare la scarpa prima che il fusto non la catapulti sul vassoio di un cameriere che si muove sotto lo sguardo indifferente degli ospiti. Dopo cinque minuti di peripezie, la scarpa si ripresenta a Bakshi che può finalmente, con sollievo, riprenderne possesso. Se questa descrizione non varrà un decimo della scena proiettata sullo schermo, sarà utile almeno a introdurci all'atmosfera della situazione. Questa non sarà né la prima né l'ultima avventura del nostro amichevole indiano. Ma stiamo andando troppo di fretta giacché le prime scene annuciano ben altro. In effetti "Hollywood party" esordisce con un altro film: pianure coperte di sabbia, cariche di cavalleria, spari. Il tutto è molto simile a un remake di "Lawrence d'Arabia", ma no, è una palla curva! "Taglia!", grida il regista prima che il produttore si chiuda in roulotte con una sensuale bionda durante la pausa pranzo, "Quaranta minuti per i tecnici, un'ora per gli attori". Questa è Hollywood in tutto il suo splendore. Dietro le quinte, le ville di Beverly Hills, gli incontri sociali. Ma le persone sono sempre le stesse: sono loro a far di Hollywood quello che è. In costume o in abito da sera, con un accessorio o un bicchiere di champagne, le movenze non cambiano. In qualità di grande esperto, Edwards sceglie d'illustrare questo microcosmo tramite i suoi passatempi sociali prediletti. Dopo tutto, la villa è degna di un habitat hollywoodiano quanto la Monument Valley e i personaggi, loro faranno il resto. Amministratori delegati, imprenditori, produttori, stelle, stelline, borghesi, tutti parlano di investimenti, d'olio, di depressione, e poi...di che cosa esattamente?
Nulla che abbia il merito di essere rilevato dall'elaborazione sonora. Tutto è brusio e chiacchiericcio: nulla in queste discussioni è realmente importante, a parte quando il signor Clutterbuck dovrà salvare da una fiumana di bolle di sapone (tipico inconveniente, a Hollywood) i suoi quadri di valore.
Indubbiamente i nostri habitués preferiscono ascoltare un jazz liscio e impeccabile in serate eleganti per prendersi troppo sul serio, dal momento che la colonna sonora continuerà a coprire le chiacchiere da cima a fondo ( un monumento all'incomparabile Henry Mancini). Nel frattempo, sullo schermo, i personaggi sono null'altro che comparse che vagano in un'apatia che trova in loro e nelle lussuose ville dove tutto è perfetto, l'habitat ideale. La cinepresa può anche smettere di riprendere in campo lungo queste figurine così felici di prendere posto al tavolo imbandito della propria elitaria esistenza. Alcun impegno è richiesto: la sdolcinata minigonna rosa della signorina o il diadema sull'acconciatura di madame sono inappuntabili, per non parlare della cravatta del signore. Per quel che riguarda la musica, ancora una volta è il dettaglio ad essere essenziale, giacché assimila un'umanità omologata per differenziare Bakshi. Egli fa il suo ingresso a bordo di una Mustang fatiscente tirandosi dietro Cadillac tirate a lucido. Poi è la volta delle sue scarpe bianche come la neve, il suo completo giallo e la sua cravatta viola. All'interno, la tavolozza di colori è perfettamente graduata, pronta a schizzare ad ogni capriccio del destino. Giallo, rosso, verde, colori vivaci: un cocktail sovraccarico in cui Bakshi è la ciliegina che differisce dal vetro. La sequenza con "Wyoming Bill" Kelso ne è la prova: abbigliato di tutto punto nella sua uniforme da eroe western di serie Z, l'omaccione non può fare a meno di riconoscere in Bakshi l'indiano da uccidere. La sequenza è trattata sotto forma di gag, tuttavia la dice lunga sulla distanza/differenza tra Bakshi e gli archetipi americani. Il ricordo costante della sua cittadinanza è il prezzo da pagare per comunicare con gli ospiti. Il protagonista è condannato a recitare fino in fondo il ruolo di diverso, nei minimi dettagli. Così come i capelli lunghi e rossi della ragazzotta italiana saranno segno di distinzione e ad attrarre Bakshi sarà una giovane francese, graziosa e e discreta. Ancora una volta Hollywood: la terra dove i clichés si trasformano in ruoli. L'utilizzo di Bakshi all'interno della messinscena è chiaro fin da principio. E' lui l'uomo-catastrofe sul set e tale resterà per tutta la serata. Blake Edwards riesce ad evitare il sovraccarico sistematico e a toccare ciò che è più difficile nel registro comico: l'eleganza. La sua comicità non è necessariamente evidente in quanto è piuttosto una riflessione su un'innocenza imbarazzata e a disagio, pur sempre entusiasta nel suo isolamento. Il duo formato con l'ausilio del maggiordomo ubriaco, le cui gaffes saranno sempre più evidenti, offre sia complementarità che un confronto in termini di parità. Bakshi sosta alla toilette, un'orda di giovani festosi invade la casa in compagnia di un elefante e la villa è inondata da un bagno di bolle. Solo due tornano in superficie, quella di Bakshi e della sua bella mademoiselle francese, persi a galleggiare in questo gran casino con la semplice genuina delicatezza della propria felicità. Sì, la festa è finita e la fine è quasi romantica. Blake Edwards non si limita a farci desiderare di irrompere in una grande festa sulle colline di Hollywood per devastare il tutto. Affrontare le montagne russe in casa Disneyland per lui non era sufficiente. Da parte nostra, siamo sognatori dopo aver corso all'impazzata e sognatori restiamo dopo aver riso. Mettiamo su un disco di Henry Mancini e guardiamo le mura della nostra casa immaginando che improvvisamente appaia una piscina con palme e shakers pronti a riversare champagne nei calici per rivivere un altro party.
Un Capolavoro. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.