di R. Gaudiano
[
Heidi recensione] - E' difficile trovare qualcuno che non conosca il famoso personaggio di Heidi grazie alla celebre canzone di Gitti ed Erika che ha accompagnato la serie televisiva giapponese realizzata dal maestro dell'animazione Hayao Miyazaki. L'associazione sorge spontanea tra questa amabile bambina e le verdeggianti montagne svizzere, le caprette, i laghetti alpini, il nonno, la signorina Rottenmeier ed altri particolari dei romanzi su Heidi dell'autrice svizzera Johanna Spyri, datati fine ottocento. La storia è quella di una bambina rimasta orfana, adottata dalla zia Dete, sorella di sua madre, che non potendo più badare a lei, la affida alle cure del nonno paterno Almohi (Bruno Ganz), uomo solitario che vive in un baita delle montagne svizzere. L'inizio della convivenza tra nonno e nipote non è idilliaca, ma ben presto il vecchio è conquistato dalla freschezza e spontaneità della piccola che ama la vita libera degli alpeggi. E lì, tra pascoli verdeggianti, aria pura e montagne che svettano orgogliose, Heidi (Anuk Steffen), insieme al suo inseparabile amico Peter (Quirin Agrippi), pur godendo di libertà e spensieratezza, resta comunque una bambina analfabeta. Per questo motivo, per volontà della zia Dete, Heidi è costretta a trasferirsi a Francoforte. In verità la piccola è destinata a diventare la compagna di giochi di Klara (Isabelle Ottmann), figlia del ricco signor Sesemann, relegata su una sedia a rotelle. Non tutto è negativo nella segregazione forzata della città. In casa Sesemann la piccola montanara imparerà a leggere e scrivere sotto la supervisione dell'intransigente governante, signorina Rottenmeier (Katharina Schuttler). Ma, nonostante riceva tante benevolenze dalla famiglia Sesemann, il cuore di Heidi pulsa forte per la libertà selvaggia che gode solo tra le sue adorate montagne. Ci si chiederà come mai un altro film sul personaggio di Heidi? In effetti l'Heidi di Petra Volpe, qui sceneggiatrice, è una bambina forte, dal carattere unico, non solo in grado di resistere a regole e divieti, ma soprattutto è una bambina che sa fare tesoro di tutte le sue esperienze . La contrapposizione tra la semplicità ruspante della vita montanara e la vita cittadina alquanto classista di casa Sesemann, a Francoforte, dove l'unico distinguo è la sensibilità della nonna di Klara verso la piccola orfanella, confermano il taglio pedagogico della narrazione. Tuttavia dobbiamo alla regia di Alain Gsponer ("Un fantasma per amico"), se l'Heidi in questione vivifica con spontaneità un mondo dell'infanzia tra dramma e crescita soggettiva. Alan Gsponer ha saputo scegliere con fiuto i protagonisti di "Heidi", una storia senza tempo, che racconta l'orfana, alla conquista di affetti sicuri, che rifugge la segregazione cittadina per una libertà tra la natura dei suoi alpeggi. E' senza dubbio un Heidi inedita nella costruzione riuscita del cineasta svizzero, che sa distinguersi per forza di volontà affermativa nonostante la schiettezza del suo sorriso, gioioso e franco. Anuk Steffen, piacevole sorpresa, riesce molto bene a calarsi nel personaggio audace e testardo, birbante, dolce e simpatica. Bruno Ganz è sempre una garanzia, gioca con garbo la personalità burbera e nello stesso tempo benevola del nonno. Senza dubbio, Gsponer, ha davanti il successo di "Belle & Sebastien" e su questa riga dirige una deliziosa favola che gode della straordinaria fotografia di Matthias Fleischer e l'ottima scenografia di Christian M. Goldbeck garantendo all'opera la particolarità dello sguardo sulla natura.
(La recensione del film "
Heidi" è di
Rosalinda Gaudiano)
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