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Hammamet recensione] - Sull'onda del Sorrentino del Divo e di Loro, e del Bellocchio de Il traditore, anche Gianni Amelio si confronta con uno dei protagonisti più controversi della storia recente del nostro Paese, un inedito per Amelio che, se aveva già affrontato pezzi di storia italiana con Così ridevano o Lamerica, mai l'aveva fatto tramite un riferimento specifico realmente esistito così diretto. Dopo il Divo Giulio tocca stavolta ad un altro membro del cosiddetto CAF (la Prima Repubblica in gran spolvero) a raggiungere il grande schermo, quel Bettino Craxi, che a vent'anni dalla morte, scontata la damnatio memoriae, appare oggi in odore di riabilitazione (notizie di un film su Forlani non pervenute). Del resto in Italia si è già riabilitato tutto, dai cine panettoni al festival di san remo quindi perchè no l'ex segretario de PSI che ai suoi tempi era considerato un grande statista mentre il suo avversario Berlinguer un perdente e invece oggi Berlinguer viene citato persino da Di Battista come il campione di una sinistra popolare, democratica e lungimirante mentre Craxi è stato fino ad ora, semplicemente, innominabile. Fino ad ora, appunto. Occasione ghiotta e parimenti complessa quella offerta da un biopic sul Bettino nazionale se non altro in quanto campo ancora vergine, almeno da un punto di vista artistico, occasione però in larga parte sprecata. Alle prese con una materia altamente infiammabile infatti, capace ancora oggi di scatenare polemiche e indignazione, Amelio preferisce non osare offrendoci un ritratto del personaggio all'acqua di rose, privo di mordente e appeal, che non ci racconta nulla dell'esilio forzato ad Hammamet, protetto da un cordone di militari armati appostati introno alla villa per garantirgli sicurezza privacy, che già non potessimo, se non sapere, quantomeno immaginare. Manca la politica, come ha detto Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano nonché cognato del nostro, intervistato da Repubblica sul film, ma non solo. Manca in Hammamet una riflessione, manca una rilettura, anche solo in chiave cinematografica, manca, perché no?, un giudizio, personale, di Amelio sull'uomo, sul personaggio pubblico o sull'intera vicenda che l'ha coinvolto, un'opinione che, intendiamoci, non deve essere banalmente di biasimo o assoluzione. Qualche rimpianto per l'Italia, l'amore per la pasta asciutta, il rapporto coi figli (una costante nel cinema di Amelio), un accenno alle numerose amanti, qualche battuta ben assestata come ci aspetterebbe da un intellettuale dotato di quell'eloquio. Ma anche sulla sua indubbia capacità oratoria, arrogante e intrisa di sarcasmo, si sarebbe potuto intraprendere ben altro, più approfondito lavoro. Ciò nonostante l'interpretazione mimetica di Favino di cui tutti hanno già scritto per cui non ci dilungheremo oltre (ma è davvero fantastica, è davvero Craxi quello che vediamo). Da sola però la prova, per quanto grande, di un attore non basta, come non bastano un paio di parentesi oniriche (il finale tra le guglie del duomo), un paio di invenzioni letterarie (il figlio del compagno di partito intenzionato ad ucciderlo), qualche supposizione verosimile (il pullman di turisti italiani che lo infamano), per dare sostanza ad una personalità che è stata una contraddizione simbolo di un'epoca, al centro della politica italiana, idolatrata per vent'anni e condannata infine dall'opinione pubblica all'ignominia. Su questo scarto avremmo voluto almeno una parola. Anche il finale con il sasso che rompe il vetro suona come un coup the theatre che lascia giusto il tempo che trova. Tra una settimana uscirà al cinema il film-intervista di Herzog a Gorbaciov. Come Craxi, uno sconfitto. Ma, ci permettiamo di dire noi, ci sono sconfitti e sconfitti.
(La recensione del film "
Hammamet" è di
Mirko Nottoli)
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