di R. Baldassarre
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Gold recensione] - Gold – La grande truffa di Stephen Gaghan fa tornare, spesse volte, alla mente The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese. Dei rimandi dettati non solo per la presenza del camaleontico Matthew McConaughey, lì in un indimenticabile cameo e qui assurto a protagonista, ma per alcune situazioni narrative e visive che paiono dei lacerti di quell'affresco cinico e grottesco su Jordan Belfort. La voce fuori campo di Kenny Wells che racconta la sua visione del (suo) mondo, privato e lavorativo; la decadente scena di "brokeraggio" nel sordido bar in cui lui e i suoi compagni vendono azioni; la nuova ricca vita in cui Wells può sciorinare la sua lussuria; il mondo borsistico dei boss banchieri, in cui ci sono solamente squali pronti ad avventarsi sul sanguigno oro colato. Ma i déjá vu si fermano qua, fortunatamente, perché c'è una netta differenza tra Jordan Belfort e Kenny Wells. Il lupo di Wall Street è un personaggio che brama spasmodicamente il denaro a tutti i costi, senza badare alla moralità (e nel film di Gaghan figure simili sono presenti nelle scene dei meeting con le banche), e l'ironica frase detta da un consulente in Gold «Nessuno voleva guardare… Perché? Perché stavamo facendo troppi soldi.» sembra anche rimandare bene il sentimento di avidità dei personaggi conosciuti nella pellicola di Scorsese. Mentre Kenny è un personaggio che ha una sua morale, e l'oro è per lui una forma di riscatto personale, è il suo sogno americano. Kenny rivela con slancio: «Era il mio sogno. Lo avevo sognato. Se vendi i tuoi sogni, cosa ti rimane?», e non a caso non vende le azioni della sua Washoe neppure per un immenso flusso di denaro che gli sistemerebbe la vita sua e delle generazioni future. Il suo testardo diniego, come spiega, è che su quel contratto/progetto/sogno, non viene menzionato il suo nome e quello di Michael Acosta. In pratica è come se cedesse il suo personale sogno. Ed ecco che Wells, attraverso questa sua dichiarazione d'amore, si ammanta di un'aurea herzoghiana. La sua pervicace visionarietà (il suo "El Dorado" gli si rivela con una mitica apparizione) lo porta a sudare, a soffrire e a imbastire un'impresa epica in un'impervia giungla dell'Indonesia, un poco come fece il personaggio di Fitzcarraldo nell'omonimo film di Werner Herzog (e in Gold c'è persino un giradischi che fa risuonare nella fitta foresta un'aria lirica). Purtroppo il luccichio di Gold poggia tutto sulle spalle del funambolesco Matthew McConaughey, che anche in questa nuova interpretazione si dedica anima e corpo (è ingrassato di 20 chili) al personaggio. Un gesto (estremo) che conferma le sue doti attoriali, ma non raggiunge le vette di altre sue trasformazioni. Gold poteva essere un altro spietato trattato visivo dell'America capitalistica recente, ma la sceneggiatura di Patrick Massett e John Zinman non affonda come dovrebbe il tema, mentre la regia di Stephen Gaghan non riesce a discostarsi da stilemi registici già visti.
(La recensione del film "
Gold" è di
Roberto Baldassarre)
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