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Game Therapy recensione] - Alla Festa del Cinema di Roma, forse in mancanza d'altro, vengono osannati come delle star da orde di ragazzine urlanti. "So' belli" dicono, intervistate. Poi li vedi e pensi a Massimo Troisi: "Enea è bello?!?". Sono FaviJ, Federico Clapis, Zoda. "Carneade, chi era costui?". Ma come? Sono youtubers, star del web, hanno milioni di seguaci su internet, milioni di like su facebook, milioni di follower su twitter. Embè? Sono a Roma per presentare Game Therapy di Ryan Travis, di cui sono protagonisti. Vedi il film e ti chiedi come delle facce così da sfigati possano diventare degli idoli. Poi li vai a cercare su youtube e qualcosa capisci. Che un conto è fare gli idioti davanti ad una webcam (l'aggettivo geniale lo lasceremmo per altri contesti), un conto è fare cinema. Un conto è essere simpatici e brillanti dicendo tutto quello che passa per la testa, un conto è recitare. Un conto è improvvisare candid camera per strada, un conto è pronunciare una battuta in modo corretto. Non ci dilungheremo sulla diversità di linguaggi ai tempi della rete. Non sono i linguaggi ad essere diversi, sono i piani ad essere su altri livelli. Sono diversi come lo sono un foglio imbrattato di colori da un bambino e una tela di Jackson Pollock. Per strani casi del destino possono arrivare anche ad assomigliarsi, a volte, eppure una è arte, l'altra no. Non è detto che sia brutta, ma non è arte. Perché non ha la volontà e la consapevolezza che la renda tale. Game Therapy poteva essere anche un esperimento interessante se non l'avessero buttato via a causa di quell'insana convinzione molto diffusa al giorno d'oggi, e qui il web colpa ne ha eccome, per cui si crede che tutti possano fare tutto. Ebbene non è così. A dispetto dei milioni di seguaci, Ostuni e Clapis non potrebbero recitare neanche alla festa di fine anno del liceo; scrivere una sceneggiatura non significa mettere in fila quattro scenette abborracciate che vorrebbero renderci verosimile il fatto che la più figa della classe si innamori del nerdone smanettone sfigato che non l'ha mai odorata neanche in sogno e che questi, quando lei gliela dà, non va a piedi fino a Lourdes per ringraziare la Madonna, ma la manda via deluso perchè i videogame sono meglio della realtà (sic.). Dietro la macchina da presa pare vi siano due persone diverse (e probabilmente è così), una capace che gira inseguimenti e scene d'azione come in un film americano, e un'altra che sembra stia girando Casa Vianello. Da tutto emana un' approssimazione alla wikipedia molto sintomatica di un certo modo di intendere oggi, il cinema, l'arte, il lavoro in genere, un modo pericoloso dove professionalità, talento, competenze, non sono più valori considerati indispensabili ma inutili e fastidiosi orpelli. Sono i barbari di Alessandro Baricco o gli sdraiati di Michele Serra. Fortunatamente non c'è da disperare. Età media del pubblico in sala: 8 anni. Il che ci rincuora.
(La recensione del film "
Game Therapy" è di
Mirko Nottoli)
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