di F. Cantore
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Fuoristrada recensione] - Aggirandovi per il quartiere San Giovanni di Roma, potreste imbattervi in una strana coppia che lavora a pochi metri di distanza: un meccanico amante di rally che una volta era uomo e sua moglie, una giunonica sarta rumena. Quella che Elisa Amoruso ci racconta in Fuoristrada, è una storia che vede intersecarsi la realtà dell'immigrazione a quella della transessualità (per quanto il termine disturbi la protagonista che preferisce essere chiamata semi-donna). Realtà troppo spesso passate sotto silenzio e per questo percepite come singolari, sporadiche, episodiche, mentre invece sono molto più comuni di quanto si pensi. Dunque la vera novità sta nella decisione di raccontare, non nella storia in sé, per quanto interessante sia. È forse per questa ragione che il documentario non ha raccolto finanziamenti pubblici ed è stato interamente prodotto dalla indipendente Meproducodasolo. Nel 1995 Pino, giovane ragazzo romano, dopo due matrimoni falliti, inizia ad assumere ormoni e a vestirsi da donna, decretando la nascita della sua altra metà, Beatrice, quella figlia femmina che sua madre aveva sempre desiderato. Nel 2003 ha luogo il fatidico incontro con Marianna, badante rumena della mamma di Pino, già Beatrice. Nasce l'amore. Le primissime domande di un ignaro spettatore che assiste a questa vicenda sono di curiosità: Marianna si sarà innamorata dell'esteriorità femminile di Beatrice o dell'essenza maschile di Pino? E in Pino quale delle due parti avrà predominato, essendosi egli innamorato di una donna a tutti gli effetti? Tutti quesiti di natura fisiologica, sul come possano scattare delle reazioni in situazioni così ambigue, che tuttavia lasciano il tempo che trovano. Quello che in realtà appare chiaro fin da principio è come il loro amore oltrepassi le umane categorizzazioni di sesso, razza, genere per andare a collocarsi nell'Olimpo dell'incorporeo. Ed è proprio quest'amore spirituale che Fuoristrada vuole immortalare, pur tuttavia esiste tutt'intorno ai protagonisti una dimensione fatta di galline sgozzate, abitini attillati, cani malati, vestiti da sposa rosa un po' kitsch con cui la regia va ovviamente a nozze. Nonostante le dichiarate intenzioni di non voler sfociare nel grottesco, molto spesso sembra che si cavalchi volontariamente l'onda del sentimentalismo che in certi momenti quasi diventa caricaturale. Questa sensazione è percepibile particolarmente nella sequenza dei funerali celebrati a uno dei cani di famiglia, soppresso a causa di una malattia proprio l'ultimo giorno di riprese. Un lutto senza dubbio molto sentito che però assume una valenza tragicomica quando il figlio di Marianna, Daniele, alla raccomandazione di Beatrice di fare piano nel sotterrare il corpo dell'animale, in romanesco verace risponde: "E sto a fa' piano!", inoltre il dolore e la solennità del momento sono sanciti da una colonna sonora strappalacrime eccessivamente studiata a tavolino, che anziché divenire un tutt'uno con le immagini, quasi se ne estrania, rivelando la presenza di un apparato extradiegetico troppo ingombrante; si unisca al tutto che nel momento del saluto finale al cane, spuntano altri due nomi in elenco. Inevitabile il raccapriccio all'idea di tutti quei cadaveri sepolti nell'orto. Al di là di questa scena, si sorride bonariamente ai genuini insegnamenti di vita che Beatrice, da bravo pater familias, impartisce al suo figlioccio o a sua moglie e ci si rende conto di quanto l'amore (verso un uomo, verso una donna, verso un figlio proprio o acquisito) non abbia volto, sesso o età.
(La recensione del film "
Fuoristrada" è di
Francesca Cantore)
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