[
French Connection recensione] - Marsiglia, metà anni '70. Sole, mare, pantaloni scampanati, lo squalo della Citroen, la disco music, Call me dei Blondie. E l'eroina. La più pura, la migliore. I marsigliesi, i corsi, il commercio con la mala newyorchese, sotto il naso delle forze dell'ordine. Tutti abbiamo i nostri criminali di cui andare fieri. Noi abbiamo Vallanzasca, gli americani hanno John Dillinger, i francesi Mesrine. Noi abbiamo la mafia, gli americani hanno la mafia, i russi hanno la mafia, i giapponesi la yakuza, i francesi la French Connection. Se finora il film più famoso sulla French Connection l'hanno fatto gli americani, dal punto di vista degli americani, (vi dice niente "Il braccio violento della legge"? Titolo originale: French Connection) ora tocca al cinema francese misurarsi, dall'interno, con la storia malavitosa recente del proprio paese. Opera seconda di Cedric Jimenez, French Connection è un film classico, dal ritmo regolare e l'approccio realistico, che può iscriversi di diritto al tipico genere polar alla francese, dalle tinte però soffuse, prediligendo più il poliziesco al noir, la ricostruzione d'ambiente all'azione, la rievocazione storica alle atmosfere hard boiled, guardando più alla Piovra o a Nemico Pubblico con Vincent Cassel che alle iperboli espressive e un po' pacchiane delle opere di Olivier Marchal, per dire. Più impegno civile che sparatorie e inseguimenti. Ciò detto, non significa che French Connection rinunci a pathos e suspance che al contrario trova e tratteggia nel ritratto appassionato del suo protagonista, il giudice integerrimo Pierre Michel, interpretato da un carismatico Jean Dujardin e nella contrapposizione, nel più classico degli schemi, che lo vede schierato contro il suo antagonista, il capo clan Gaetan "Tany" Zampa, interpretato dal suo sodale di sempre, gemello brutto separato alla nascita, Gilles Lellouche. Due uomini, il buono e il cattivo, uno lo specchio dell'altro, per certi versi simili ma posti, dal caso, dalla sfiga o dal destino, su barricate opposte. Nulla di nuovo ma nemmeno nulla di sbagliato. Jimenz asseconda le ascese e le cadute di entrambi calibrando bene i tempi e gli spazi. Va detto che nel duello a distanza tra i due, Lellouche, sempre sul limitare della caricatura, esce sconfitto e Dujardin, complice anche il ruolo dell'eroe solitario, puro e incorruttibile, si prende la ribalta (e il film volentieri gliela lascia, parteggiando chiaramente per il Bene), coadiuvato, questo sì, da un ottimo cast di attori tutti perfettamente in parte, tutti funzionali a far muovere gli ingranaggi del racconto. Finale amarissimo seppur prevedibile, ci scopre indignati pur di fronte al risaputo, commossi e rabbiosi nel constatare ancora una volta come vanno le cose, che ai giusti spettano solo lacrime postume mentre ai corrotti gloria e onori in vita.
(La recensione del film "
French Connection" è di
Mirko Nottoli)
- Vai all'
archivio delle recensioni
- Lascia un commento, la critica o la tua recensione del film "
French Connection":