di R. Baldassarre
[
Falchi recensione] - Con la pellicola Falchi Toni D'Angelo torna nel ventre della sua Napoli, città densa di emozioni, di contraddizioni, di cieca violenza ma anche di speranza. Dieci anni fa Una notte, il suo esordio nel lungometraggio, perlustrava già la città partenopea, ma con altre ambizioni. Quel tono notturno si ritrova qui, in questa storia che anche nelle scene diurne non riesce a scrollarsi quelle tonalità tenebrose che sgorgano dalle vicende dei personaggi, ma anche dalla città stessa. Partendo da quelle figure mitiche, e allo stesso ambigue, che formano le "Squadre Falchi", Toni D'Angelo imbastisce, assieme a Giorgio Caruso e Marcello Olivieri, una narrazione che si dilata in altre direzioni, non volendosi fermare a una pura ma monocorde storia action. Peppe e Francesco sono gli "agnelli sacrificali" (pre)scelti per mostrare la combattiva e difficile esistenza, lavorativa e privata, in un luogo duro e problematico com'è la sconnessa Napoli. Due personaggi tanto coriacei nel lavoro, quanto fragili nell'affrontare la loro vita quotidiana. Siamo scaraventati sin da subito nell'azione, nei caotici vicoli di Napoli, e assistiamo alla risolutezza del loro operato, però già nelle scene successive il moto diviene quello interiore, e affiora lo spleen che attanaglia i personaggi. Il "pedinamento" in solitaria di Peppe ci mostra un uomo maturo schivo e che vive isolato; lo squarcio descrittivo della vita di Francesco ci mostra un ragazzo impulsivo e immerso nel caos del proprio passato/presente. Toni D'Angelo, che ha al suo attivo già altri quattro lungometraggi, equamente divisi tra genere fiction e documentario, tenta di alzare il proprio tiro autoriale. In Falchi si ravvisano momenti cinematografici che provengono da alcuni numi del genere noir. Facilmente si riconoscono gli omaggi (o copiature) a William Friedkin, a Michael Mann e a John Woo. Da Friedkin proviene la forte ambiguità dei personaggi, in cui bene e male si sovrappongono, e i continui moti irruenti di Francesco, ne sono un chiaro esempio. Da Woo viene presa l'idea della forte amicizia che lega i personaggi, anche dopo un tradimento. In aggiunta, dal regista di Hong Kong, viene anche ricalcata l'usuale pirotecnica scena di sparatoria e, nell'esplosivo finale, non a caso i cattivi sono tutti cinesi. Infine da Mann e i suoi noir esistenziali derivano i momenti cardine di Falchi. Scoppi di violenza e relative scene d'azione, ma altrettante situazioni in cui i protagonisti riflettono "a parte", guardando l'orizzonte. Ad esempio il sentimento tra Francesco e la prostituta cinese Mei ricorda troppo Mann; oppure quell'insegna al neon della sala massaggi, lampeggiante nel buio "elettrico" fotografato da Rocco Marra, o anche la scena pre-finale all'aeroporto, sembrano brani copiati da Blackhat. Purtroppo le interessanti ambizioni che un tale soggetto poteva far nascere, si fermano a una pellicola che spinge troppo su momenti da tragedia greca, accatastando scene pseudo liriche, come la catarsi finale dei due protagonisti, che rasenta il ridicolo. Si potrebbe parlare di acerbità registica, ma è molto più onesto dire di presunzione.
(La recensione del film "
Falchi" è di
Roberto Baldassarre)
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