La recensione del film Eisenstein in Messico

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EISENSTEIN IN MESSICO - RECENSIONE

Eisenstein in Messico recensione
Recensione

di Clara Gipponi
[Eisenstein in Messico recensione] - Sergej Eisenstein (interpretato dal finnico Elmer Bäck) cineasta, montatore, sceneggiatore sovietico, tra i più influenti della storia del cinema, durante gli ultimi giorni trascorsi a Guanajuato, dal punto di vista del regista che più di ogni altro ha fuso nel linguaggio visivo teatro, pittura e arte: Peter Greenaway. La sola associazione di questi elementi non può che affamare lo spettatore che potrà divorare e farsi divorare a sua volta da "Eisenstein in Messico". Nel 1931 il regista russo decide di lasciare la patria stalinista per dedicarsi alle riprese di "Que Viva Mexico", film finanziato dal committente americano Upton Sinclair, con cui avrebbe celebrato la rivoluzione popolare del 1911, "la più importante del secolo". Inebriato da incontri ravvicinati con personalità del rango di Frida Khalo e Walt Disney arriva a Guanajauto. Dopo un girato di 8000 metri di pellicola, la collaborazione con gli Studios vacilla e si fanno sempre più tesi i rapporti con le autorità sovietiche che giudicano il progetto troppo esuberante rispetto alla linea di regime e costringono Eisenstein a far ritorno in Russia. Non gli sarà permesso montare il materiale filmato che sarà poi affidato dai produttori americani alla regia di altri autori. Greenway ha maturato anno dopo anno un nutrito entusiasmo per il regista sovietico, i suoi sentimenti traspaiono in tutte le inquadrature che come un prisma moltiplicano il protagonista: lo scompongono e ricompongono affiancando la figura trionfante del grande cineasta, a quella dell'uomo messo letteralmente a nudo, ad immagini di repertorio, quasi a rendere giustizia alla sua multisfaccettata genialità. Che per Peter Greenaway Eisenstein fosse un punto di riferimento, era facilmente intuibile. Quel flusso inarrestabile di immagini, proprio del maestro russo, ha influenzato lo stile del regista gallese, ma con questo film, accolto con entusiasmo al festival di Berlino, Eisenstein viene consacrato come antieroe cinematografico. Durante gli ultimi giorni a Guanajauto la sua curiosità verace lo porterà ad assecondare la innata ricerca della natura dell'uomo ponendo in secondo piano le esigenze del regista e del progetto filmico. Sergej grazie al contatto prima intellettuale poi erotico e spirituale con Palomino Cañedo, sua guida in Messico, scopre e si lascia scoprire, si innamora e si lascia ferire dagli eventi di cui è a ritmo alternato spettatore e protagonista. Greenaway ci mostra un'immagine inedita e ben lontana da quelle consacrate nell'immaginario collettivo. Quella di un Sergej che sotto la doccia al telefono con la segretaria si abbandona alle confidenze più intime, finalmente purificato da tutti i rigidi pudori (anche sessuali) troppo a lungo imposti dalla madre patria. Eisenstein si espone a un ginepraio di rivolte emotive. Come un bambino che svegliato dal torpore del sonno esce dal letto, in punta dei piedi sente il freddo del pavimento, ma poi scopre che su quel pavimento ci può anche scivolare, cadere e rialzare, slittando da una parte all'altra di quella terra inesplorata. Il Messico, terra che unisce rivolte a sensualità, eros e thanatos, viene celebrato con tutti i suoi contrasti ed esaltato da una fotografia carica di colore. Greenaway ancora una volta riafferma il suo manierismo pittorico, ricerca uno stile visivo dirigendo sapientemente la luce per dare plasticità e risalto ad ogni singola immagine. Fa emergere il continuo limite tra realtà e rappresentazione, tra vita e morte, quest'ultima percepita minaccia lontana per i russi, eroina dolce e letale per il popolo messicano. Il regista gallese celebra Eisenstein con un film che dichiaratamente romanza la sua storia e proprio per questa mancata pretesa documentaristica si avvicina forse di più alla verità di quella rivoluzione che anziché messa scena, in quei 10 giorni, ha preso atto dentro di sé. (La recensione del film "Eisenstein in Messico" è di Clara Gipponi)
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