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Dumbo recensione] - C'era una volta Tim Burton, autore talentuoso e visionario oggi ridotto ai minimi termini avendo ormai da decenni esaurito la vena creativa. Campa quindi di rendita essendo ormai solo capace di sfornare remake o riscritture cinematografiche ad alto budget sfruttando invenzioni partorite da altri. Non fa eccezione Dumbo che anzi può essere preso da compendio del peggior cinema di Burton degli ultimi anni, andando probabilmente a collocarsi nel punto più basso della sua carriera. Senza tanti giri di parole, Dumbo è un film svogliato e approssimativo, insufficiente anche se lo si considera un prodotto esclusivamente rivolto ai più piccoli, un film senz'anima in cui, proprio in questa assenza se ne rispecchia un'altra, ovvero quella relativa all'ispirazione del suo autore. E dire che il mondo del circo, dei freak, degli ultimi, poteva sembrare apparentemente affine alla poetica del regista di Batman, invece scopriamo che di quella che fu la sua poetica oggi non rimane nemmeno una copia stinta. A ben vedere infatti Dumbo non è un freak. Esclusi i primi 10 minuti, nessuno lo deride, nessuno lo prende in giro, nessuno lo traumatizza. Dumbo è solo un bambino piagnone che cerca disperatamente la mamma. Quanto il vecchio film della Disney è un concentrato di emozioni potenti e contrastanti (si ride, si piange, si piange e si ride), il Dumbo di Burton è un film il cui elettrocardiogramma risulta irrimediabilmente piatto, che ha gli unici sussulti nei momenti in cui l'elefantino spicca il volo, evento potenzialmente chiave ma che, se svuotato del suo contenuto metaforico – che è lo stesso presente nella storia del brutto anatroccolo che si scopre cigno ma, ripetiamolo, il Dumbo di Burton non è un freak – non rimane altro che l'immagine tanto letterale quanto idiota di un elefante che vola sbattendo le orecchie. Burton prova a citare se stesso recuperando Micheal Keaton, recuperando Danny De Vito il quale rifà per certi versi il ruolo del Pinguino, recuperando alcune scenografie (la prima inquadratura presa da Batman returns, l'ufficio del cattivo che richiama quello di Jack Palance nel primo Batman) ma non si capisce fino a che punto siano citazioni o sintomi piuttosto della penuria di idee. Fatto sta che il fiato è cortissimo in quanto è palese in Burton l'incapacità o la mancanza di voglia di approfondire il racconto, di elaborare un discorso, di strutturare una frase che vada oltre il semplice enunciato fatto di soggetto, predicato e complemento. Motivo per cui la trama diventa una giustapposizione di eventi collegati tra loro da snodi narrativi di meccanica banalità in cui si muovono personaggi caricaturali privi di qualsivoglia psicologia. A partire da Dumbo. Ora, capiamo che può far ridere parlare di carattere per un elefante che vola ma è proprio di questo, del carattere, che un personaggio necessita per essere credibile, invece di Dumbo, al di là di una generica tristezza riconoscibile nello sguardo e negli occhi acquosi, non sappiamo niente e stante così le cose, manco ci interessa saperlo. Non fanno meglio gli attori in carne ed ossa tutti sotto il minimo sindacale: da un Colin Farrel inespressivo con un braccio solo ad un Micheal Keaton biondo platino inutilmente crudele, da un Danny De Vito ormai bolso ad una Eva Green che con quella faccia un po' così e quell'espressione un po' così proprio continua a non piacerci.
(La recensione del film "
Dumbo" è di
Mirko Nottoli)
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