La recensione del film Doppio Amore

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DOPPIO AMORE - RECENSIONE

Doppio Amore recensione
Recensione

di A. Bizzotto
[Doppio Amore recensione] - In una Parigi per niente cartolinesca François Ozon gira soprattutto in interni un film che racconta, come in un gelido spot, segreti non confessabili, spesso perché sconosciuti. Quando l'ex-modella Chloé si innamora di due psicanalisti gemelli, è subito chiaro che ricercare la verità in un morboso gioco di specchi sarà duro, addirittura doloroso. Il gentile e professionale Paul deve guarirla da un mal di pancia che la ginecologa definisce psicosomatico, ma si innamora di lei. Lui interrompe la terapia e lei trasferisce se stessa e il suo gatto per andare a vivere con lui. La scoperta casuale di un uomo identico a Paul, però, trascina Chloé in un torbido intrico di bugie: è il gemello di Paul, Louis. È un'attrazione incontrollata o il ritorno del mal di pancia a portarla in analisi da lui? Il problema (o uno dei problemi) è che Louis ha metodi decisamente meno ortodossi del fratello, che l'ha estromesso dalla sua vita. E poco ci vuole perché il rapporto con la paziente scivoli nel passionale, con sedute fatte di sesso rude e bestiale, lontanissimo dalla tenera dolcezza di Paul. Sulle tracce del segreto che ha diviso i gemelli, Chloé si trova inconsapevolmente a inseguire una verità che riguarda se stessa più di quanto avrebbe immaginato. Ampie scale a chiocciola su cui la protagonista si arrampica ogni volta per raggiungere lo studio di psicanalisi (semplici e dai colori caldi quelle dove lavora Paul, gelidamente eleganti quelle del palazzo dello studio di Louis) e specchi su cui la sua immagine triplica, quadruplica: la sintassi cinematografica di Ozon pecca di semplicità eccessiva nel rendere visivo il labirinto mentale della sua protagonista. Che presenta, dopo l'incipit, con un provocatorio piano vaginale, pendant di un'inquadratura che arriva ad entrare dentro la bocca di Chloé mentre geme durante una sessione di sesso. Espedienti visivi e stilistici che acquistano un senso solo al termine della visione, sollevandosi dalla provocazione quando Ozon mostra allo spettatore il bandolo della matassa. Doppio amore mixa uno stile patinato ma fiacco e una voglia di osare che poco si rivela funzionale a veicolare con efficacia il tema del doppio e dell'ossessione che scatena, e che ha radici più profonde del previsto. E pur nella sua raffinatezza così chic, così snobisticamente francese, il regista non teme di esagerare nemmeno nel citazionismo. Senza troppa deferenza si diverte a citare Hitchcock con qualche ammiccamento e con le altezze da vertigine dei palazzi in cui i tre personaggi vivono o lavorano, Cronenberg e il De Palma d'antan. Alla credibilità dell'intreccio Ozon, del resto, presta ben poca attenzione. Lo scioglimento della vicenda e del mistero che le gira intorno usa una delle strade più semplici. Così un film che ambisce a penetrare l'intimità più profonda finisce per essere essenzialmente visivo, a girare vorticosamente in qualità estetiche che il regista non smette di costruire e di mostrare. A Doppio amore mancano sia il bisturi affilato del ben più provocatorio Nella casa (2012), uno dei migliori film di Ozon che scavava dentro le fantasie domestiche partendo da una prospettiva decisamente più orinale, sia la potenza visiva e sentimentale del precedente Frantz (2016), opera costruita sull'amore e sui suoi segreti in modo decisamente più classico e più vero. (La recensione del film "Doppio Amore" è di Alessandro Bizzotto)
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