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Doctor Strange recensione] - Quando le aspettative sono altissime, soddisfarle è difficile. Se poi sei il primo capitolo di un nuovo tassello del grande universo Marvel, il rischio di finire sepolto dall'hype è più che concreto. Tuttavia "Doctor Strange", diretto da Scott Derrickson e prodotto da Kevin Feige, svolge il suo compito in modo più che egregio. La forza sta in un cast di prim'ordine, una regia onesta, una sceneggiatura che ha ritmo e non abusa dell'umorismo per riempire vuoti narrativi, e in mondi che si piegano e contraggono e capovolgono a là "Inception", ma ampliando all'ennesima potenza la forza visiva del capolavoro di Christopher Nolan. La storia ricalca in maniera abbastanza fedele le origini del personaggio creato da Steve Ditko: Stephen Strange è un neurochirurgo di fama mondiale egocentrico, arrogante, edonista e spregiudicato, che a causa di un incidente d'auto perde la piena funzionalità delle sue mani. Mani che sono lavoro, quindi vita, per lui. Nell'ultimo, disperato tentativo di trovare una cura, si reca in Nepal, a Kamar-Taj, dove incontra l'Antico (Tilda Swinton): invitando il medico a dimenticare tutto quello che sa, il misterioso eremita lo accetta come suo apprendista, introducendolo alle arti mistiche e preparandolo per proteggere la Terra nel rispetto delle leggi della natura. È proprio giocando su questa evoluzione del personaggio, evoluzione che non trova compimento fino all'ultimissima scena del film, che sta la forza di "Doctor Strange". È il desiderio di riacquistare l'uso delle mani, di tornare alla vita di prima, di essere – di nuovo – l'uomo di successo che tutti amano e odiano (e che ha successo perché ha paura di fallire), a spingere il medico ad aprire la propria coscienza al mondo delle arti mistiche e ad accettare l'eventualità che il bene possa trovare nuovi modi per esprimersi. È solo la sua fallace umanità, in altre parole, che può davvero permettergli di diventare lo Stregone Supremo: la capacità di vedere e accettare che il mondo terreno sia fatto soprattutto di grigi, di compromessi, è l'unica occasione per provare a combattere il male ad armi pari. Così anche il villain del film, Kalicious (interpretato da un sempre ottimo Mads Mikkelsen), trova ragione d'esistere proprio in virtù delle debolezze tutte umane del dottore. Come già accaduto in tanti film Marvel, il cattivo non sembra essere abbastanza cattivo (su tutti Apocalisse de "X-Men – Apocalisse"), eppure è al contempo perfetto. La battaglia fra bene e male che il Dottor Strange è chiamato a combattere non è altro che quanto gli chiede di fare l'Antico: "Dimentica quello che sai". Affrontare se stessi, perché il villain più temibile, in fondo, è dentro ciascuno di noi.
(La recensione del film "
Doctor Strange" è di
Giulia Mazza)
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