La recensione del film Dillinger è morto di Marco Ferreri

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Trama

DILLINGER E' MORTO di Marco Ferreri

Dillinger è morto Recensione
Tornato a casa dopo una giornata di lavoro, un ingegnere (Piccoli) si prepara la cena. Alterna le operazioni di cucina con la proiezione di alcuni film girati durante una vacanza in Spagna. Perde tempo. Tocca le cose familiari. Fa giochi erotici con la cameriera (Girardot). Trova una pistola avvolta in un giornale dove si parla dell'uccisione del gangster americano Dillinger all'uscita di un cinema (da qui il titolo del film). La smonta, la lubrifica, pezzo per pezzo, la rimonta, la dipinge a pallini. Mima anche il suicidio. Con quest'arma l'uomo, in un finale che appare tutto assurdo, uccide la moglie che dorme (Pallenberg), lascia la casa e si imbarca come cuoco su una nave diretta a Tahiti.
Idea Centrale
È un dramma esistenziale, dove l'uomo e la pistola sono simboli di un'intera società frustrata, nevrotica, infelice, che ha perso i valori più genuini della vita.
Analisi
Si tratta di un film apparentemente senza soggetto e dove non accade quasi niente. L'assurdo di tutti i giorni, il sesso, il cibo, la fuga impossibile sono le componenti fondamentali dell'alienazione, colta nel cuore stesso del quotidiano. La ripetitività e la banalità monotona dei gesti e dei riti giornalieri e l'assenza di ogni senso si pongono drammaticamente a confronto con il delitto, che rappresenta quasi una liberazione, la chiarificazione di una vita senza scopo nella convivenza umana.
Note e curiosità
II film fu prodotto negli anni del '68, quando i vari movimenti di contestazione ideologica e studentesca avvenivano su un piano soprattutto sociale e politico.


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