di F. Cantore
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Devil's Knot recensione] - Nel 1993 nella cattolicissima West Memphis ascoltare i Metallica, vestirsi di nero e interessarsi alla stregoneria implicava l'appartenenza a una setta satanica e il compimento di sacrifici umani. Fu sulla base di questi pregiudizi e dell'inefficienza della polizia locale che a tre giovani del posto, Damien Echols (18 anni), Jessie Misskelley Jr. (17) e Jason Baldwin (16), vennero imputati gli omicidi di tre bambini, ritrovati nudi in un torrente con le caviglie legate alle mani attraverso i lacci delle loro stesse scarpe. I tre di West Memphis, come vennero ribattezzati, subirono due condanne all'ergastolo e la pena di morte per il solo maggiorenne tra i ragazzi, pur senza prove a carico. Dopo 18 anni di reclusione, il processo fu riaperto e i tre scarcerati. Incredibilmente la scarcerazione avvenne a due mesi dall'inizio delle riprese di Devil's Knot, come racconta il regista Atom Egoyan, che dovette variare in corso d'opera il suo progetto e convertirlo da film di supporto per la liberazione, a testimonianza storica sui fatti. Forse proprio a tale fuoriprogramma è da attribuire la forma un po' ibrida e indefinita che assume la pellicola. È come se il regista fosse spinto da una fortissima necessità a ripercorrere passo dopo passo e in modo assolutamente preciso una vicenda che, in modo inequivocabile, sente molto vicina a sé (al punto che gli attori scelti per interpretare i tre adolescenti sono inquietantemente somiglianti agli originali). Ma prendere troppo a cuore una questione implica talvolta un coinvolgimento eccessivo in chi la racconta: probabilmente questo è quanto succede in Devil's Knot, in cui una storia potenzialmente molto accattivante, finisce per essere una fedele ricostruzione dei fatti, soprattutto nella parte centrale in cui si indugia troppo sullo svolgimento del processo con interrogatori e arringhe riportati quasi per intero. La conseguenza è una narrazione super partes in cui ogni particolare è percepito come importante e indispensabile, rendendo impossibile un distinguo tra fatti superflui e fatti necessari. Troppi nomi e cognomi si sovrappongono, impossibili da memorizzare, al punto che nelle classiche didascalie finali su nero, in cui si riassume in poche righe lo sviluppo degli eventi, ci viene comunicato che il DNA di tale Terry Hobbs fu rinvenuto sulla scena del crimine. Solo con grande sforzo ci si ricorda di quell'uomo, il patrigno di uno dei bambini, su cui la moglie aveva avuto dei sospetti. A onor del vero, però, bisogna dire che privilegiare aspetti piuttosto che altri in una vicenda tuttora in fieri e con i protagonisti coinvolti ancora in vita, sarebbe stato un grosso rischio da parte di Egoyan. Niente gli avrebbe vietato, d'altro canto, di narrare la vicenda privilegiando, ad esempio, il punto di vista dei tre condannati, un'ottica questa, ben più interessante rispetto alla timida operazione di dar voce alla madre (Reese Witherspoon) e al detective (Colin Firth) che si convinsero fin da subito della loro innocenza. Dunque che il rigore fosse d'obbligo, siamo anche in grado di accettarlo, ma da un film ci si aspetta qualcosa di più di ciò che si potrebbe carpire dalla lettura di una qualsiasi pagina su Internet che tratti l'argomento (su cui, sia detto per inciso, si trovano dettagli della vicenda ben più interessanti).
(La recensione del film "
Devil's Knot" è di
Fancesca Cantore)
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