La recensione del film Corpus Christi

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CORPUS CHRISTI - RECENSIONE

Corpus Christi recensione
Recensione

di Mirko Nottoli
[Corpus Christi recensione] - Quando si dice, l'abito non fa il monaco. O forse sì, forse anche meglio di un monaco vero. Corpus Christi, film candidato agli Oscar per la Polonia come miglior film straniero ma che in patria si è aggiudicato ben 11 di quelli che possono essere considerati gli oscar polacchi, assoluto record nella storia del premio, basandosi su fatti "realmente accaduti", racconta la storia di Daniel che dal riformatorio viene mandato a lavorare in una segheria in un paesino sperduto di campagna e lì, per una serie di casuali eventi, riesce a spacciarsi per il nuovo parroco, trovando la propria vocazione e conquistando lentamente la piccola comunità locale. Diretto da Jan Komasa e scritto da Mateusz Pacewicz, duo che gli abbonati Netflix forse conosceranno per il recente The Hater, Corpus Christi ricorda, sia per il contesto a sfondo religioso, sia per le atmosfere cupe foriere di foschi presagi, un altro film proveniente dall'Est Europa di qualche anno fa, The student di Kirill Serebrennikov, con cui condivide anche molti pregi e difetti, pur nelle diversità degli esiti e dei messaggi che le due pellicole veicolano. Entrambe infatti affrontano il rapporto tra il singolo, la società e la religione a viso aperto, senza timori reverenziali o dogmatici, ponendo ciascuno a suo modo dilemmi ficcanti. Chi può farsi interprete della parola di Dio? Il peccatore ha meno possibilità del beato? Il credente ortodosso, pio e bigotto, è più credente di colui che vive nella perdizione? Anche se colui che crede è pronto a condannare e a non perdonare, vittima di un pregiudizio e di un sentimento addirittura di rivalsa nei confronti di dio che ha voluto infliggere a lui una tale, a sua dire, ingiustizia? Coadiuvato in questo dall'interpretazione del giovane protagonista, Bartosz Bielenia, una sorta di Paul Bettany più emaciato, il cui sguardo, tra lo spaurito e l'allucinato segna l'intero film, Corpus Christi evidenzia come talvolta davvero l'abito faccia il monaco non solo nel senso deleterio di apparenza ma nella misura in cui l'apparenza davvero si fa sostanza. Dietro l'abito talare Daniel acquista forza e il coraggio necessario per arrivare a sfidare, a provocare perfino, le radicate e assonnate credenze della cittadina dandole una scossa e aprendole gli occhi, così come giunge a sfidare pubblicamente il potere incarnato dal sindaco. Come The student però anche Corpus Christi riesce meno laddove vuole porsi come metafora, come paradigma. E' qui che la rappresentazione un po' stereotipata del potere (il sindaco che fa il capoccia intromettendosi negli affari del paese), la comunità descritta come microcosmo a riproposizione di un cosmo più grande (la Polonia? Il mondo intero?), le dinamiche interpersonali tagliate con l'accetta (l'intero paese accomunato nel dolore per la perdita dovuta ad un incidente d'auto e nell'odio verso il colpevole), risultano fin troppo schematiche nella loro forzata messa in scena. La semplificazione che la morale impone è propria della favola, meno si addice ad un contesto realistico come quello che il film propone, complesso per definizione. (La recensione del film "Corpus Christi" è di Mirko Nottoli)
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