La recensione del film Con il fiato sospeso

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CON IL FIATO SOSPESO - RECENSIONE

Con il fiato sospeso recensione
Recensione

di Sarah Farmad
[Con il fiato sospeso recensione] - Non c'è cosa più bella di studiare ciò che si ama, nella speranza di costruire un futuro che rispecchi le proprie attitudini. È il caso di Stella (Alba Rohrwacher), protagonista del film, che in un'intervista fittizia racconta la sua esperienza di studentessa presso la facoltà di Farmacia dell'Università di Catania. Tale scelta narrativa permette allo spettatore di immergersi immediatamente nella storia, quasi fosse l'unico uditore di una confessione intima e personale, come se stesse lì a spiare attraverso il buco di una serratura. Ed è così che, attraverso poche, ma incisive parole e l'espressività di due occhi malinconici e di un timido sorriso, si comprende l' entusiasmo iniziale di Stella, il suo amore per la chimica, l'orgoglio e i sacrifici dei suoi genitori, la gioia al momento della tesi.. Una grande opportunità dal momento che consiste in una ricerca sperimentale in laboratorio per un'azienda farmaceutica, per quanto, incredibile a dirsi (o forse non così tanto), il riconoscimento per tale lavoro andrà tutto al professore. Eppure a Stella, così come ai suoi colleghi, non importa, le basta la consapevolezza di avere finalmente un' occasione per mettere alla prova le proprie capacità, lavorando con un ampio margine di autonomia, come se per la prima volta fosse alla guida di una bicicletta senza rotelle. Se la libertà ha un prezzo, come si suol dire, chi avrebbe mai detto che tale prezzo potesse mettere a rischio la sua stessa vita? Le intere giornate passate in laboratorio riveleranno la ricorrenza di avvenimenti sempre più oscuri e controversi: un'addetta alle pulizie rinvenuta priva di sensi, studenti ammalati, strani sintomi di malessere che la stessa Stella inizierà ad avvertire.. Il candore e l'ingenuità che trasparivano dalla sua assoluta fiducia nei docenti inizieranno gradualmente a vacillare, fino alla perdita di ogni certezza pregressa. Sebbene Anna (Anna Balestrini), amica di Stella, avesse cercato sin dal principio di metterla in guardia nei confronti di un sistema universitario forse non così limpido, talvolta certe realtà appaiono talmente inaccettabili per un giovane che paradossalmente è più facile credere alle menzogne, o giustificazioni claudicanti (come quella delle "coincidenze"), di chi dovrebbe esserne guida. Anna rappresenta il contraltare della protagonista, pur nutrendo anch'essa una grande passione per la chimica, proprio in nome di questa, ha saputo ribellarsi alle logiche universitarie, rifugiandosi piuttosto nella libertà offerta da una carriera musicale. Probabilmente la scelta di affidare il racconto di questa amicizia esclusivamente alle parole della protagonista e alle immagini che ritraggono Anna preoccupata e in pena per lei, senza che mai ci vengano mostrate insieme, è finalizzata a enfatizzare l'incomunicabilità che intercorre tra questi due personaggi, così vicini e al contempo distanti nelle proprie scelte di vita. Ma non bisogna dimenticare che Stella non è sola, come lei molti altri giovani di belle speranze si sono imbattuti nello stesso dramma, a ricordarcelo è la voce fuori campo di Michele Riondino, che si alterna a quella di Stella, facendo si che le due vicende si intreccino in un'unica grande storia corale, che è un po' la storia di tutti, come si nota nel montaggio in cui si succedono i volti dei giovani ricercatori al lavoro. Proprio a tale intento risponde la scelta registica di attingere dal dato reale nella creazione di un film ibrido tra finzione e documentario. Ispirandosi al memoriale di Emanuele Patanè, dottorando in Scienze Farmaceutiche all'Università di Catania, morto di tumore a soli 29 anni, e avviando un'accurata attività di ricerca in loco, la Quatriglio realizza un mediometraggio che in soli 35 minuti di durata complessiva riesce a svilupparsi in modo compiuto, offrendo più spunti di riflessione. Se il punto di partenza è la presa di coscienza e la denuncia del caso che ha coinvolto decine di giovani vittime per inquinamento e mancanza di misure di sicurezza nei laboratori dell'ateneo catanese - per cui è ancora in atto un processo per disastro e discarica non autorizzata- , attraverso l'adozione della fiction la vicenda particolare finisce per divenire universale, rappresentando una metafora del nostro bel paese, che, come afferma la stessa regista, "divora i suoi figli" . Non ci resta che piangere, direbbe qualcuno, o forse continuare a combattere per un avvenire migliore. Se il film si apre con una serie di riprese sporche sui toni del verdastro, preludio di un'atmosfera tossica e asfissiante, è la chiusura, che vede Anna, inquadrata attraverso una grata, giocherellare con le corde della sua chitarra, ad aprire un bagliore di speranza. Oltrepassata la grata c'è musica, c'è libertà, c'è futuro. (La recensione del film "Con il fiato sospeso" è di Sarah Farmad)
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