La recensione del film Cold War

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COLD WAR - RECENSIONE

Cold War recensione
Recensione

di Mirko Nottoli
[Cold War recensione] - Premio della regia a Cannes, Miglior film europeo 2018, vincitore annunciato ai prossimi Oscar, nella categoria film straniero, Cold war è già stato definito un capolavoro da gran parte della critica. Lo è davvero? La critica del resto è facilmente suggestionabile, basta poco per mandarla in fibrillazione, un elegante bianco e nero, un formato 4:3, un regista polacco, un certo approccio non convenzionale al racconto ma che nella logica d'essay diventa convenzionalissimo. In Cold war, di Pawel Pawlikowski non c'è solo questo: come Ida, vincitore dell'Oscar 2015, non lo si può ridurre a pura forma. Ma se Ida, sotto la freddezza glaciale della veste, nascondeva un magma incandescente reso tale da un dramma indicibile, lo stesso cuore pulsante di forza viva e dolorosa non lo ritroviamo in questo Cold war. Un titolo che è già una dichiarazione di intenti: la guerra fredda non è solo lo scenario storico in cui si muovono i due protagonisti, rincorrendosi per mezza Europa dal 1949 al 1964; e non é solo il burrascoso conflitto sentimentale tra i due che sull'onda delle illusorie oscillazioni emotive si incontrano, si scontrano, si amano, si lasciano, si inseguono, si ritrovano e si amano ancora; è anche e soprattutto un manifesto di poetica. Pawlikowski infatti nel ripercorrere la storia dei suoi genitori a cui il film è dedicato, storia che ovviamente si intreccia e si confonde con la storia del suo paese e dell'Europa intera, che è storia non solo con la S maiuscola ma è anche l'evoluzione del costume e della società o quantomeno di una metà di essa, mentre l'altra metà rimane inchiodata alla repressione di un regime totalitario, sceglie di smorzare i toni, allentare la tensione, frammentare la narrazione in una serie di brevi riquadri come una sorta di fregio ad illustrare il resoconto. Dalla Polonia rurale del dopoguerra alla Mosca stalinista, da Parigi negli anni '50 alla Jugoslavia comunista, da Parigi ancora alla Polonia della cortina di ferro. Un scansione geografica e cronologica condotta per ellissi nette e singhiozzanti che serve al regista per osservare la "struggente" storia d'amore dei genitori senza apparente struggimento, con l'occhio rigoroso e analitico dell'entomologo il quale metterà sicuramente passione in quello che fa ma certo non lo dà a vedere. Sotto sotto però non rimane che una storia d'amore, travagliata e sofferta ma quale storia d'amore non lo è? Pawlikowski sembra utilizzarla per cercare nella forma quell'equilibrio che i genitori travolti dall'emozione non sono riusciti a trovare, e che non si può trovare se ci si abbandona completamente all'arte, al cinema, alla musica, ai moti dell'anima che senza l'intermediazione della ragione conducono a vertici di ebbrezza spasmodici e di altrettante, mutevoli, capitali, insoddisfazioni che producono a loro volta sbagli, pentimenti, torti non sempre sanabili. Alla fine, seduti finalmente su una panchina nel mezzo di un panorama desolato, insieme dopo un infinito peregrinare, lei dice a lui: "andiamo a sedere là che c'è una vista migliore". (La recensione del film "Cold War" è di Mirko Nottoli)
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