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Clown recensione] - Cosa non si fa per scrivere una sceneggiatura horror. Mettiamo che siate un papà e vostro figlio compia gli anni. Cinque? Sette? Boh, non fa differenza. Gli organizzate la festa, invitate gli amichetti, gli comprate i regali, i palloncini, le pizzette, per farlo felice assumete pure un clown. Se però, disgraziatamente, il giorno della festa il clown vi chiama dicendovi che per un imprevisto non può venire, che fareste? Lo mandate a spendere, provate a fare due telefonate per trovare un sostituto e se non c'è amen, vostro figlio capirà, nonostante sia un frignone viziato e sovrappeso. Non vi mettereste certo a girare per casa in cerca di un costume da clown, a meno che non facciate Togni di cognome. E invece è proprio quello che fa il nostro protagonista e la cosa più bella non è tanto che lo cerca, ma che lo trova! Che culo, direte voi. Tutt'altro, perché il protagonista di Clown, tal Kent, fa "sfiga" di secondo nome (Kent Sfiga Togni). Infatti il costume da Clown che prontamente indossa per allietare la festicciuola del figlioletto già pronto a piagnucolare perché il clown è in ritardo, in verità non è un costume ma la pelle (!) di un antico demone che una volta indossata non ti molla più. Tra le sfighe vanno annoverate anche il figlio ciccione e il suocero rompicoglioni. E' talmente sfigato che nel tentativo di tagliarsi la testa con una motosega, ad un certo punto la sega circolare parte trapassando un bambinetto lì di passaggio. Eh già, perché come ci spiega Peter Stormare, trovato sulle pagine gialle alla voce "costumi indemoniati", nel punto forse più infimo della sua carriera, l'unico modo per fermare questo demone chiamato Cloyne ("clunni" da cui clown!), è tagliargli la testa. Ora, non sappiamo se questa leggenda abbia un qualche fondamento, Wikipedia non ne parla ma chissenefrega, ci può stare. Come poi dal demonio si sia passati ad un pagliaccio andate a chiederlo a qualche cultore di miti e leggende islandesi. Chiedetegli anche cosa possa giustificare il fatto che un demone si celi dentro un vestito, risibile artificio narrativo ad uso e consumo di sceneggiatori di scarso ingegno. Si sa che la paura verso i clown costituisce un archetipo dell'horror, tanto che si è coniata perfino una parola per definirla: coulrofobia (da cui è affetto anche Johnny Depp, ci informa stavolta Wikipedia). Ebbene, al buon Jack Sparrow e a quelli come lui, diciamo: non abbiate paura, tanto Clown non fa paura a nessuno! Il film, prodotto da Eli Roth e diretto dal semiesordiente Jon Watts, vorrebbe infatti far leva su questo tipo di panico perturbante e invece riesce solo nell'intento di compiere la scelta più stupida e improbabile ogni volta gli si presenti l'occasione, con esiti di volta in volta esilaranti: dov'è l'ultimo posto in cui porteresti un mostro vestito da pagliaccio? Nella cantina sotto casa. E lei dove lo porta? Nella cantina sotto casa! Al suocero rompicoglioni gli si dice di non riportare il bambino a casa. E lui dove lo porta? A casa! C'è anche il cane zombie. Non ci credete? E invece c'è. Da manuale scult la scena della bambina in auto, designata vittima sacrificale che continua a ripetere alla sua carnefice "lei è proprio gentile". Del resto da un horror che ha fatto parlare di sé solo per il manifesto censurato avremmo dovuto aspettarcelo. Arridateci Capitan Spaulding!
(La recensione del film "
Clown" è di
Mirko Nottoli)
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