di A. Bizzotto
[
Cake recensione] - Due anni dopo "Una scuola per Malia", l'indipendente Daniel Barnz porta sullo schermo una sceneggiatura (opera seconda) del semisconosciuto Patrick Tobin trasformandola in un one-woman-show per una diva di Hollywood. Con "Cake" Jennifer Aniston torna al dramma per interpretare Claire, una donna cui un grave incidente ha lasciato cicatrici visibili, che le segnano il viso e il corpo, e invisibili: il dolore fisico e quello che si porta dentro l'hanno resa scontrosa e sgradevole.
Un soggetto non facile, che si regge semplicemente sulla solitudine di una protagonista cui – allontanato il marito e rifiutata dal gruppo di sostegno – sono rimasti solo la fedele governante Silvana (Adriana Barraza) e gli antidolorifici.
La storia su cui si basa "Cake" è poco più che uno spunto, gli snodi narrativi sono troppo pochi per permettere un racconto articolato, dallo sviluppo solido. E l'idea che sta alla base (l'elaborazione del lutto, un percorso mai prevedibile e sempre diverso) è forte, ma non è certo qualcosa di inedito per il cinema.
Così il film, nel tentativo di mescere al dramma anche punte di ironia leggera e di moderato sentimentalismo, non esce dalle mani del suo regista come un'opera potente, latita in solidità pur nell'affrontare un tema che avrebbe permesso una cronaca dura e solenne, e si consegna allo spettatore appesantito da rallentamenti e vuoti narrativi che rendono il risultato qua e là piuttosto fiacco (soprattutto nella compiaciuta esibizione di un vuoto domestico che, nelle notti di sonno agitato e interrotto, diventa specchio della desolazione interiore).
"Cake" si fa però interessante nell'uso garbato della metafora. Regia e sceneggiatura si rivelano capaci di alludere, senza cadere nella tentazione di mostrare per dare risposte: il racconto usa infatti piccole sottigliezze che sanno lasciare sottintese alcune premesse e alcuni elementi del plot – soprattutto riguardo alle cause del malessere della protagonista, ma anche all'identità di qualche personaggio – pur rendendoli comprensibili.
Ma soprattutto il film sa caricare di significato gli elementi fisici della storia, arricchendoli semanticamente e trasformandoli in mezzi narrativi. A cominciare dall'acqua, che può sollevare il corpo dalle fatiche fisiche (Claire cerca ristoro abbandonandosi nella piscina di casa, più morbida di qualsiasi materasso per il suo corpo tutto dolore) ed essere strumento terapeutico (Claire si sottopone a fisioterapia riabilitativa in acqua) ma anche di morte (o meglio tentato suicidio).
Los Angeles, set della storia, con il suo dedalo di strade lontane dai quartieri più glamour offre poi uno degli spunti metaforici più evidenti e riusciti, pur nella sua semplicità: Claire che cerca la sua strada attraverso la sofferenza, pur rifiutandosi di guidare e facendosi trasportare da Silvana sdraiata sul sedile del passeggero reclinato.
Qualche scivolata ammacca l'intreccio (l'apparizione onirica di Anna Kendrick in piscina, ad esempio, è una sonora caduta di stile dall'effetto B movie), ma il finale sa riscattarle con sua immediata, efficace semplicità.
(La recensione del film "
Cake" è di
Alessandro Bizzotto)
- Vai all'
archivio delle recensioni
- Lascia un commento, la critica o la tua recensione del film "
Cake":