La recensione del film Bleed

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BLEED - RECENSIONE

Bleed recensione
Recensione

di Mirko Nottoli
[Bleed recensione] - Fine anni '80. Vinny Pazienza detto "The Pazmanian Devil" è il nuovo campione del mondo dei pesi super leggeri. Ma un terribile frontale in auto gli causa una grave lesione al collo che rischia di renderlo paralizzato. Quattordici mesi dopo, contro ogni pronostico, Vinny Pazienza torna sul ring e riconquista il titolo di campione del mondo. Ascesa, caduta e di nuovo ascesa. Il tragitto compiuto da Bleed è la più classica delle sinusoidi, una di quelle storie da conservare e tirare fuori come exemplum quando la vita arriva a presentare il conto. La cosa più difficile – dice Vinny – è non credere a quando tutti ti dicono che non è semplice. Perchè lo è, semplice. Come si dice in questi casi: quando la realtà supera la fantasia. Poichè pochi sceneggiatori, crediamo, avrebbero osato a scrivere tanto (anche se a dire il vero il film si prende alcune licenze). Perchè se è vero che traiettoria e morale tracciate dal film diretto da Ben Younger e prodotto da Martin Scorsese, non si discostano da quelle di tanti altri "sports comeback movie", in particolare d'ambito pugilistico, è altrettanto vero che Bleed cala il cosiddetto carico da undici, edulcorando un po' la pillola, puntando diretto e sospetto alla santità del protagonista. Per tenergli immobilizzato il collo infatti, e consentirgli nello stesso tempo di muoversi, a Vinny Pazienza viene fatto indossare un corsetto (il corsetto di Halo) fissato alla testa attraverso 4 viti imbullonate direttamente nel cranio. Quando dopo quattordici mesi torna sul ring per conquistare il titolo, Vinny Pazienza lo fa battendo, ai punti, niente popo di meno che Manos de Piedra, Roberto Duran, mica uno che passava di lì per caso. E non ci abbasseremo qui a magnificare campanilisticamente le origini italiane del protagonista (nella realtà Duran non fu il primo pugile che Pazienza incontrò al rientro dall'infortunio, battendolo comunque due volte in seguito). Ma a proposito di Roberto Duran: riusciremo mai a vedere in Italia Hands of stone, con Edgar Ramirez nei panni del pugile e Robert De Niro in quelli dell'allenatore? Se c'è qualche distributore in ascolto l'appello è per lui. Senza farsi mancare nessuno dei cliché che hanno decretato la fortuna del genere (gli allenamenti, la palestra fatiscente, l'allenatore rude, il giovane smargiasso, l'ostentazione del lusso a base di soldi, donne e macchine, l'avidità dei manager) Bleed emoziona, diverte, avvince. Miles Teller sempre in parte così come un quasi irriconoscibile Aaron Eckhart. Il resto lo fa la boxe con il suo irresistibile mix di sfarzo e decadenza, di tanto cuore e di poco cervello, di tanto cervello e di poco cuore, di forza bruta e di tecnica chirurgica, di coraggio e d' incoscienza, di ottusità sfrontata e di autentica cazzutaggine. (La recensione del film "Bleed" è di Mirko Nottoli)
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