La recensione del film Blackhat

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BLACKHAT - RECENSIONE

Blackhat recensione
Recensione

di Mirko Nottoli
[Blackhat recensione] - I grattacieli di Hong Kong allineati come i chip di un circuito stampato, le scie lasciate dai fari delle auto per le strade di notte come gli impulsi elettrici che viaggiano ad altissima velocità lungo le fibre ottiche, le insegne al neon come le infinite spie che si accendono nei nostri device. Pigi invio e si accende un universo, passano informazioni, si spostano capitali, si impennano le quotazioni dello stagno, esplode un reattore nucleare in Cina. L' infinitamente piccolo e l' infinitamente grande si rispecchiano e si condizionano. Il mondo al tempo di internet, il mondo degli hacker, dell'economia virtuale, della polizia informatica. Non c'è forse nulla di nuovo nell'ultimo film di Michael Mann, Blackhat (ovvero "hacker cattivo"). L'incipit, il galeotto che viene liberato per aiutare la polizia a risolvere un caso, è tra i più classici che si possano immaginare e di pirati informatici, come il protagonista, fin troppi ne abbiamo visti affinché ci possano ancora incantare per la velocità con cui digitano sulla tastiera, bypassano sistemi di sicurezza o decriptano password inaccessibili. Di nuovo però c'è la forza con cui Mann racconta la storia, la forma che si fa sostanza. Perchè Blackhat è un film totalmente di regia, di uno dei massimi virtuosi della macchina da presa qui ispirato come non lo era dai tempi di Heat. Non siamo sostenitori di Mann a priori, anzi, abbiamo trovato le ultime prove del regista abbastanza deludenti, i celebratissimi Collateral e Miami Vice in primis, entrambi viziati da un eccesso di formalismo a cui non corrisponde un altrettanto spessore contenutistico (e per quanto riguarda Miami Vice, da un Colin Farrell fuori parte che si fa rubare la scena da Jamie Foxx ad ogni inquadratura). Mann continua a sembrare più interessato al significante che al significato, anzi, sembra quasi divertirsi a complicare apposta la vicenda inondandola di incomprensibili termini tecnici. Ciononostante la ricercatezza formale non si risolve mai, o meglio non solo, in retorica estetizzante ma risulta fondamentale alla creazione e alla comprensione del senso. A 72 anni Mann gira con il vigore di un ragazzino (unito però alla sapienza di un maestro). Imprime ad ogni sequenza ritmo, tensione, suspance, con la colonna sonora che in sottofondo incalza, tambureggiante. Ogni primo piano palpita come il ticchettio di una bomba. La telecamera, sempre in movimento, bracca i personaggi costantemente a distanza ravvicinata, evita la profondità di campo impedendo allo sguardo di evadere e instillando al contrario un malessere claustrofobico che mozza il fiato. Blackhat è Collateral con un intreccio solido, è Miami Vice con un'anima, è Nemico Pubblico senza i tempi morti, è l'estratto del miglior cinema dell'ultimo Michael Mann (non sarà un caso che molte sequenze richiamano i suoi film del passato). C'è la metropoli, ovviamente, che rimane l'indiscussa protagonista della pellicola (nessuno come lui sa riprendere la città di notte) e ci sono i protagonisti in carne ed ossa, Chris Hemsworth su tutti (ennesima convincente prova dell'attore che dimostra ancora una volta di essere un attore vero) che si muovono all'interno di essa, minuscoli al suo cospetto ma ai quali il cineasta, riprendendoli dal basso verso l'alto, stagliati su una gigantesca chiatta galleggiante o indistinguibili nella maestosità del creato, cuce addosso una dimensione eroica, bigger than life, che li fa, ai nostri occhi, simili a giganti in grado di sostenere la tragica ineluttabilità del destino di cui sono ben consci e a cui, nonostante questo, vanno incontro. (La recensione del film "Blackhat" è di Mirko Nottoli)
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