di R. Baldassarre
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Big Game recensione] - Se Cristoforo Colombo non si fosse casualmente imbattuto nelle coste americane (a quel tempo sconosciute), l'America forse non esisterebbe e probabilmente nemmeno questa pellicola. L'inizio salace di questa recensione non vuole stroncare irrimediabilmente Big Game, ma semplicemente prendere spunto da un Injoke presente in una scena per far comprendere che questo film non è la quinta essenza della Settima Arte, e la sua scoperta non cambierà la storia – geografica – dell'action. La scena in questione è quella in cui il Presidente degli Stati Uniti si trova "intrappolato" nella navicella di salvataggio espulsa dall'Air Force One, improvvisamente attaccato. Dispersa in mezzo ad una selvaggia taiga lappone, la navicella può essere aperta esternamente solamente digitando il codice segreto. La pass è 1492, ultra famosa data della scoperta – casuale – dell'Americhe e cifrario che svela – casualmente – ad Oskari la scoperta del Presidente Moore. Una scena amena, ma che sottolinea il tono generale della pellicola. Che cosa è Big Game? È un classico film action contaminato con una inusuale boschiva avventura, come conferma anche il regista Jalmari Helander, che è anche co-autore della sceneggiatura. Una tipica pellicola di spari, esplosioni e lotte a pugni nudi venata da un vago sentore di percorso di formazione, sia per l'impotente tredicenne e sia per il potente Presidente. E, negli interstizi dei dialoghi, battute ironiche per stemperare il clima, della pellicola e del freddo finlandese. In questo gioco grosso si aggiungono, inoltre, gli usuali tòpoi, che hanno forgiato il genere action: Cattivi coriacei, personaggi umani e l'immancabile esperto di strategia che mangia un ipercalorico panino. Guardando questi film si invidia il popolo americano, almeno quello di celluloide, perché hanno dei presidenti umani, simpatici, romantici e soprattutto coraggiosi. Nel secolo scorso Bill Pullman aiutava a sconfiggere gli alieni (Indipendence Day); Harrison Ford sconfiggeva da solo un gruppo di feroci terroristi (Air Force One). In Big Game, il Presidente non è coraggioso («E adesso non posso nemmeno ordinare una pizza»), ma simboleggia perfettamente il rappresentante attuale della Casa Bianca. Non solo perché è di carnagione scura, ma perché nei suoi discorsi di incoraggiamento ad Oskari riecheggia il motto "Yes, we can!". A dar la fisionomia umana a questo presidente obamiano ci pensa Samuel L. Jackson, che ha avuto interpretazioni migliori e action più costruiti (per esempio Die Hard – Duri a morire, Il negoziatore o Shaft). Sciorinato tutto ciò, si consiglia di prendere alla lettera il titolo e accettare la pellicola come un "grosso gioco". Una di quelle opere filmiche usa e getta, che una volta venivano distribuite con il famoso Straight to Video. Big Game fortunatamente scivola via rapidamente, con la sua durata – stranamente – breve, ed è perfetto per una visione in un afoso pomeriggio. Ci si rinfresca guardando l'innevata e pura taiga e con quelle veloci freddure verbali.
(La recensione del film "
Big Game" è di
Roberto Baldassarre)
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