Bellissima di Luchino Visconti

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IERI OGGI E...

BELLISSIMA di Luchino Visconti

Bellissima Recensione

di Nicole Jallin
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
Storia di una donna in crisi. Storia di una donna di nome Maddalena Cecconi e di una famiglia che vive in un condominio di un quartiere popolare romano in cui è racchiusa tutta la drammatica situazione storica, sociale dell'Italia dei primi anni Cinquanta. Una crisi che piano piano coinvolge direttamente la personalità e l'anima di Maddalena (e di conseguenza anche della figlia Maria), richiamando al presente un passato fatto di rimpianti e un futuro pieno di speranze irrealizzabili che minano l'equilibrio interno della donna. Questa è la base su cui si fonda la struttura narrativa (e non solo) di Bellissima che tra poco analizzeremo. Tuttavia, prima di addentrarci nelle scene e sequenze, ci sembra doveroso spendere qualche parola per meglio comprendere il "contesto" che circonda il progetto filmico di Bellissima. Certamente, pare quasi scontato dirlo, l'occhio neorealista di Visconti osserva la realtà romana del dopoguerra, eleggendo i Cecconi rappresentanti della tipica "famiglia semplice" che abita i quartieri popolari romani dei primi anni Cinquanta. I personaggi non sono però ritratti in una condizione "separata e isolata" rispetto al contesto. La macchina da presa, cioè, non si focalizza (e fossilizza) sulla loro vicenda astraendola dal mondo in cui vivono, relegandolo a mero sfondo. Tutti i personaggi sono calati, anzi immersi, nella contemporaneità e nei problemi concreti della vita. In tal modo l'essere umano acquista un tale "peso" e "presenza" capace di riempire e colmare da solo l'immagine filmica. L'ambiente dipende direttamente dal personaggio: esso lo vive e lo modifica costantemente attraverso le sue passioni e le sue emozioni che, agitandosi senza sosta, definiscono la realtà vera «che si svolge davanti ai nostri occhi». Ogni ambiente (anche quando può a prima vista sembrare un semplice pretesto per l'introduzione di figure secondarie) è necessario per meglio comprendere i sentimenti dei personaggi da cui ne dipenderanno le azioni. In tal modo i rumori continui nelle case e nelle strade, il parlare e il vociare indistinto e la voluta confusione tra sottofondi diventano elementi espressivi che completano l'autentico clima popolaresco suggerito dagli elementi visivi delle immagini. Si pensi allo studio fotografico, alla sartoria piuttosto che alla sala da ballo, alla trattoria della suocera di Maddalena e alla casa dei Cecconi. Proprio attraverso le azioni che si svolgono in questi ambienti si stabiliscono e si approfondiscono sia le atmosfere, le situazioni e le relazioni popolari del mondo esterno, sia il valore e il peso del dramma interno vissuto dalla piccola Maria (che nella semplicità della saletta di quel piccolo appartamento seminterrato confessa al padre: «sono stanca»). Ma Visconti non si limita a questo. Non si limita cioè a raccontare una vicenda verosimile con il cinema. Il passo importante sta nel raccontare la realtà attraverso il cinema e il suo (meta)linguaggio. Il mondo del cinema diventa un laboratorio ideale per osservare i fenomeni che investono il popolo italiano del dopoguerra precipitato in una società di massa dove i confini tra pubblico e privato si fanno sempre più sottili. Allo stesso modo il concorso di bellezza si fa termometro della ricerca di notorietà e del desiderio collettivo di celebrità che caratterizzeranno le numerose audizioni di massa degli anni Cinquanta. Il cinema è rappresentato nel suo duplice aspetto: da un lato il mito e la chimera che affascina tutte le famiglie ("semplici" e non solo) permettendo loro di sognare di farne parte; dall'altro il simbolo dell'illusione che abbaglia il mondo reale nascondendo la sua fittizia e impietosa natura di "fabbrica dei soldi". Se consideriamo la narrazione di Bellissima anche dal punto di vista extra-diegetico o "extra-filmico", ovvero a livello della realtà pura che circondava Visconti durante le riprese del film, ci accorgiamo come sono proprio questi momenti di vita reale che, attraverso il film e il suo racconto, si riflettono sugli schermi e nei nostri occhi di spettatori. Sono i momenti a cui si riferiscono le testimonianze dei collaboratori di Visconti che sottolineano l'entusiasmo della gente comune quando, per strada, poteva assistere alla "costruzione" del film Bellissima. Questo è l'entusiasmo che spingeva famiglie intere ad ammassarsi contro i cancelli di Cinecittà non appena si diffondeva la notizia di una qualsiasi audizione in corso (la stessa ricerca della bambina che interpretasse Maria, ruolo poi affidato a Tina Apicella, ha generato una lunghissima fila di pretendenti). D'altronde questi erano gli anni in cui i concorsi di bellezza rappresentavano una via di accesso per il cinema, il successo, la fama e la ricchezza. Una strada complessa certo (tanto priva di sicurezze quanto generosa di illusioni), ma che comunque valeva la pena di tentare perché, in effetti, dopo la guerra, cosa c'era da perdere? Il contatto diretto del cinema con i luoghi e la gente, ovvero con gli oggetti e i soggetti delle storie neorealiste, seguiva la volontà di rendere il film il più possibile attinente alla realtà vera e umana. Come ricorda Suso Cecchi D'Amico: «per fare il film secondo verità frequentammo per molto tempo il mondo popolare di Roma. Andavamo a mangiare in una trattoria sul Tevere, parlavamo con la gente. E – aggiunge la sceneggiatrice - a differenza di Anna, Luchino questo mondo lo conosceva poco e sentiva il bisogno di appropriarsene». Piero Tosi sottolinea inoltre come questo contatto diretto con la gente sia stato fondamentale per adempiere al difficile compito affidatogli da Visconti: creare costumi assolutamente veri, poiché «il costume è la pelle del personaggio». E l'unica soluzione per trovare questa "pelle di stoffa" era andare per le strade dei quartieri popolari di Roma, scegliere la gente che assomigliava agli attori e, infine, chiedergli i vestiti che portava indosso. Strategia inusuale ma efficace. infatti, ancor più straordinaria, era la reazione dei "prescelti" che, trovandosi di fronte al miraggio di "far parte" della fabbrica dei sogni, si spogliava in strada per vestire il cinema. Puro Neorealismo. Insomma il cinema nell'Italia del dopoguerra era diventato un fenomeno che "scendendo per strada" (alla ricerca di attori non professionisti o semplici comparse) si avvicinava letteralmente alla gente comune, diventando ai loro occhi finalmente raggiungibile. Ma, soprattutto, rappresentava per le tante famiglie Cecconi la possibilità di riscatto dalla miseria provocata dalla guerra. Questa è la fotografia realista sulla quale Visconti costruisce tutto il film. Il cinema come finestra sulla realtà. Una realtà concreta che si unisce e si confonde con la finzione nelle stesse immagini. Come dicevamo poco fa: puro Neorealismo. A rendere Bellissima un film neorealista è dunque il tema e l'ambientazione più che la struttura narrativa o le scelte stilistiche e formali che, invece, puntano a ricomporre la storia entro moduli tradizionali. Infatti tutto il film mantiene uno stile registico molto vicino ai canoni classici. L'uso della macchina da presa, gli stacchi, i movimenti, le angolazioni e il montaggio evitano virtuosismi e sperimentalismi formali, rendendo il film molto più fedele al codice narrativo-formale del cinema hollywoodiano che alla politica neorealista del "pedinamento" e della ripresa dei "tempi morti". Questi elementi (riscontrabili in quasi tutta la filmografia viscontiana), uniti alla capacità di cogliere le tensioni della realtà concreta e raccontarle in immagini studiate e programmate nel minimo dettaglio (lasciando al caso e all'improvvisazione il meno possibile), fanno del cineasta il più "classico" fra i registi emersi nella stagione della modernità neorealista. Il Neorealismo non è relativo solo al contesto in cui nasce e prende forma il film. Il Neorealismo, o meglio il cinema neorealista, è presente in ogni immagine. E, in ogni immagine, Visconti lo analizza da vicino; così vicino da entrarvi al suo interno, decostruendolo e svelandone - riprendendo le parole di Merighetti - la «feroce filosofia». Ma quale cinema e quali film condanna Visconti? La condanna è rivolta direttamente all'equivoco in cui sono incappati produttori e registi del realismo promuovendo un'unica formula: quella dell'attore che, attraverso un concorso, viene preso dalla vita per essere inserito in una vicenda che con essa non ha rapporti reali, storici, culturali e sociali. Questa formula, sostenuta da Blasetti, regista di Oggi, domani, mai, si scontra con quella di Visconti, regista di Bellissima, che (di)mostra invece, come si possano creare film realistici anche con attori professionisti. Bellissima dunque è un film di condanna. Condanna tutti quei Blasetti, quegli Annovazzi, quei Gori, quella Cinecittà e quel cinema perché colpevoli messaggeri d'illusioni. Illusioni nate in parte dallo stesso Neorealismo responsabile - seppur indirettamente – di aver promosso, attraverso la figura dell'attore non professionista, l'utopia della recitazione facile e alla portata di tutti: «in fondo che è recità? Eh? Se io mo me credessi d'esse n'altra… Se facessi finta d'esse n'altra, ecco che recito». Tuttavia questa nuova condizione recitativa (teorizzata da Zavattini e praticata soprattutto da De Sica e Rossellini) rischia di sottovalutare il proprio contesto spettatoriale ancora troppo legato ai modelli cinematografici precedenti, non in grado, quindi, di apprezzare la forte rottura stilistica neorealista. Su questa condanna si basa la volontà di Luchino Visconti di guidare il suo e il nostro sguardo al di là non solo della macchina da presa ma addirittura della macchina cinematografica, affinché si metta in luce l'inconsistenza ideale, morale ed etica (quanto mai attuale) di un mondo che sacrifica il valore dell'arte e si traduce in volgare industria commerciale ed economica. Visconti, dunque, trasporta sul piano narrativo la macchina cinematografica, la sua composizione industriale e le sue regole commerciali. Fin dalle prime immagini veniamo investiti dalla notizia del concorso indetto da Blasetti per trovare e scoprire "la più bella bambina di Roma" che sarà la protagonista del suo nuovo film. La presentazione della notizia (che al di là dello schermo impazza per tutta la capitale e al di qua per tutta la sala, coinvolgendo emotivamente noi spettatori) delinea già tutti gli elementi e le caratteristiche che fanno di Bellissima uno dei più importanti film del Neorealismo, ma che, allo stesso tempo, ne rappresentano il suo stesso superamento. Forse, proprio a causa della necessità di superare l'ideologia neorealista, quando nel 1951 Visconti legge ed esamina il soggetto di Cesare Zavattini, sente il bisogno di "oltrepassarlo" e allontanarsi dalla sua idea iniziale. Ciò che scosta le immagini di Visconti dal soggetto zavattiniano è frutto di una "lettura critica" che dilata e talvolta ribalta il testo iniziale. Ma questa operazione tende a ritorcersi su sé stessa in qualità di autocritica e di saggio viscontiano sulla propria poetica: partendo dall'impronta zavattiniana Visconti trova la forza di fare a pezzi l'ideologismo neorealistico (a cui appartiene) che delinea un cinema ormai non più riformabile né modificabile. Un cinema, cioè, che vive una «situazione disastrosa». A livello narrativo questo percorso incomincia dal cambiamento dei valori e dei ruoli dei personaggi e pian piano si allarga coinvolgendo prima la rappresentazione del contesto ambientale e poi quella della società intera. Visconti inizia il film definendo l'equilibrio individuale, interno e soggettivo di Maddalena, che viene incrinato da un disordine esterno e oggettivo (rappresentato inizialmente dalla ressa alle porte di Cinecittà e dagli "uomini del cinema"). Da questo momento inizia la crisi interna di Maddalena che deve necessariamente concludersi con un nuovo ordine interno e un equilibrio ristabilito. All'interno di questo arco temporale però assume grande importanza quel mondo a metà strada tra il micro-universo interno di Maddalena e il macro-universo esterno dell'ambiente: la famiglia. Il contesto famigliare (fedele al modello patriarcale italiano del dopoguerra), oltre ad essere un tema privilegiato dell'intera opera viscontiana, viene qui introdotto come unico rifugio e isola di salvezza. Tuttavia, proprio in questa direzione, si instaura un circuito dialettico che vede la stessa famiglia come iniziale cellula scatenante sia del caos soggettivo di Maddalena (che spera di cambiare il proprio stile di vita) sia di quello esterno che letteralmente (e visivamente) invade l'appartamento Cecconi (le vicine di casa, le "balene", come le chiama Spartaco, e Gori con Annovazzi, ovvero i rappresentanti del cinema). La crisi di Maddalena e la necessità di ristabilire l'ordine e l'equilibrio spingono Visconti a modificare, rispetto al testo originale, alcune situazioni: primo fra tutti il "destino" di Maria. Questa scelta si rivela essere un espediente drammaturgico che permette al film di rappresentare la sua violenta dialettica interna, altrimenti non percepibile. Perciò, se inizialmente la bambina doveva essere scartata da Blasetti, nel film viene invece scelta per la parte della protagonista. Così facendo Visconti pone le basi per quella che sarà la sconfitta, la maturità e il miglioramento di Maddalena. Sarà lei, la madre che, accortasi del suo errore, rifiuta di firmare il contratto. In secondo luogo il personaggio viscontiano di Spartaco, evidentemente "secondario" rispetto a Maddalena e Maria, diventa più "sfocato" rispetto di quello originale. Egli passa da impiegato a operaio e, seppur perdendo la qualifica professionale, riveste sia il ruolo di marito padrone e di burbero e, allo stesso tempo, affettuoso padre, sia quello di rappresentante della razionalità e del principio di realtà all'interno del nucleo famigliare: colui, insomma, con cui «famo i conti». Anche l'azione, che si sposta da un quartiere del centro romano a una zona periferica mette faccia a faccia due mondi: quello sincero, popolare dei Cecconi e quello falso e crudele di Cinecittà. Il collegamento di questi due mondi e, soprattutto, il loro scontro, rientra nello stesso circuito dialettico. Esso infatti dall'interiorità di Maddalena (ovvero dalla «storia di una donna, o meglio di una crisi») ha coinvolto anche dinamiche esterne, prima fra tutte quella famigliare e coniugale. La relazione tra Maddalena e Spartaco è infatti sempre colta nei momenti di scambio d'opinioni sul tema del cinema. Il metalinguaggio implicito del film si esplicita qui occupando direttamente le battute dei personaggi quando esprimono le due ideologie opposte circa l'arte cinematografica. Pensiamo alla scena in cui i due coniugi assistono alla proiezione del film nel cortile. Da un lato vi è Maddalena, fermamente seduta al centro dell'inquadratura, che vive e accetta la rappresentazione cinematografica come una realtà possibile nella quale identificarsi («Spartaco tu nun me capisci. Guarda che bei posti… Guarda noi 'ndo vivemo»). Dall'altro vi è Spartaco, precariamente in piedi e di profilo, che esterna lo scetticismo, la consapevolezza dell'irrealtà mostrata sullo schermo e la necessità di riconoscerne l'illusione: «Maddalè, so' tutte favole». La fantasia, le immagini, le speranze e il fallimento da un lato e il realismo, la concretezza, il distacco dall'altro. La favola ambita, la mitologia del cinema e il concreto drammatico epilogo: con queste poche parole si potrebbe definire la dialettica di Bellissima. E nella dialettica questi elementi antitetici restano inconciliabili, definitivamente e fisicamente separati con il rifiuto finale che allontana la famiglia Cecconi dal mondo di Cinecittà e il cinema da Maddalena. Il messaggio è chiaro: il cinema diventa così raggiungibile da minacciare la quotidianità con continui scivolamenti nello spettacolo e nell'illusione. Proprio come accade quando, nel film, l'anziana attrice piomba in casa di Maddalena, oppure quando la litigata tra Maddalena e Spartaco diventa sceneggiata, o, ancora, quando le vicine di casa invadono l'abitazione dei Cecconi o quando il ragazzo, spiando dalla finestra, diventa spettatore fugace di Maddalena in sottoveste. Restiamo concentrati su questa sequenza, quella cioè in cui Maddalena e Maria si preparano per andare dal fotografo. Qui Visconti e la Magnani danno vita al monologo sull'arte di recitare. Dalle lunghe inquadrature statiche che contrastano l'intensità recitativa dell'attrice nasce un ritmo sostenuto che perdura dall'inizio alla fine della sequenza. Si percepisce un movimento e una dinamica all'interno del quadro proprio quando i diversi livelli metanarrativi si rendono visibili. Ovvero, quando Maddalena, specchiandosi, scopre l'erronea banalità dell'attore (è sufficiente fingere di essere qualcun altro), notiamo che il personaggio viene interpretato (dalla Magnani) nello stesso momento in cui viene rappresentata la sua stessa recitazione e la sua tecnica. Per fare questo Visconti racchiude l'immagine di Maddalena in un gioco di "quadro nel quadro" in modo che i due specchi (con diverse angolazioni) abbiano la funzione di "tagliare" in due il personaggio, scindendo e separando Maddalena Cecconi da Anna Magnani, personaggio e attrice. Tuttavia l'elemento interessante di questa sequenza non è soltanto la costruzione estetica e registica del quadro ma la vera e propria parodia e critica della recitazione. Maddalena infatti si preoccupa del trucco, dei capelli, dei vestiti della figlia, così come della sua interpretazione della poesia, della dizione e della pronuncia: ovvero, di tutto ciò che il Neorealismo voleva eliminare dai film. La stessa sequenza mette in luce un altro elemento relativo alla composizione profilmica del quadro legata alla presenza dello specchio. Stiamo parlando dell'immagine-cristallo di Deleuze. Infatti (riprendendo brevemente la teoria) se è possibile affermare che a una stessa immagine attuale corrisponde un'immagine virtuale come suo doppio o riflesso, possiamo altresì sostenere l'esistenza di un oggetto virtuale che, a sua volta e nello stesso tempo, avvolge o riflette il suo corrispondente reale. Si crea così un movimento circolare di rimandi che può moltiplicarsi, dando vita a circuiti sempre più vasti e profondi della realtà e a livelli sempre più interni della memoria e del pensiero. Ma che cos'è l'immagine-cristallo? Esattamente quando, all'interno di questo circuito, l'immagine ottica attuale "coincide" con la propria immagine virtuale, essa si "cristallizza" in un'unica e nuova immagine. Ora abbiamo nello stesso momento due facce (l'una limpida di fronte all'altra opaca) che non si confondono mai, ma si susseguono all'infinito: «l'indiscernibilità tra reale e immaginario, o tra presente e passato, attuale e virtuale (…) è il carattere oggettivo di certe immagini esistenti, doppie per natura». Un simile rimando infinito tra attuale e virtuale, presente e passato, è contenuto proprio nello specchio. In esso l'immagine virtuale si attualizza rendendosi visibile e luminosa, limpida come il cristallo perfetto. In altre parole nello specchio è racchiusa l'immagine-cristallo. Quindi, tornando alla sequenza, l'immagine di Maddalena riflessa nei due specchi è indiscernibile dal circuito e dallo scambio continuo: l'immagine incorniciata dallo specchio è virtuale in rapporto al personaggio attuale che lo specchio coglie. Tuttavia la stessa immagine virtuale è attuale dentro lo specchio (cioè nel mondo che esiste dentro la superficie riflettente) e relega il personaggio (in carne ed ossa) a semplice virtualità spinta fuori dalla sua cornice. Questa dialettica di rimandi e movimenti riguardano non solo il piano reale e visibile (fatto di oggetti e soggetti concreti), ma anche quello astratto e percepibile del ricordo. Infatti Visconti fa tornare alla mente di Maddalena la speranza passata e svanita di diventare lei stessa attrice («tu si che puoi fà l'attrice… Pure io se avessi voluto»). Il passato virtuale si pone così sullo stesso piano temporale attuale del presente («l'immagine – dice Deleuze - deve dunque essere presente e passata, ancora presente e già passata, contemporaneamente, nello stesso tempo»), creando a sua volta un circuito di rimandi e un proliferare di virtualità che assorbono tutta l'essenza del personaggio, lasciandone attuale soltanto il corpo. Lo stesso attore «ascoltandosi e guardandosi recitare» rende attuale, visibile e luminosa la virtualità del proprio personaggio. E più questa diventa luminosa e limpida, più l'immagine dell'attore si opacizza e diventa buia. Ma Visconti separando "a priori" l'attrice dal personaggio, riflettendole in due specchi diversi, ed evitando di mettere in campo il corpo della Magnani, mantiene visibili entrambe le immagini. Saranno poi i nostri occhi, soffermandosi su uno specchio alla volta, a illuminarne una e opacizzare l'altra. Assumendo questa teoria e analizzando Bellissima da un punto di vista più generale potremmo dire che l'intero film è uno specchio che riflette la realtà italiana dei primi anni Cinquanta. Dentro le sue immagini e dentro i limiti delle proprie inquadrature sono racchiuse le speranze di ciò che non arriva mai a prodursi: il sogno cinematografico di Maddalena (e delle altre madri) e, più in generale, la ricerca della bambina e la realizzazione del film Oggi, domani, mai (appunto). L'intero film è e rimane perennemente in potenza, rimane un eterno germe. Un germe che proviene dal passato di Maddalena, si attualizza nel presente attraverso il "sacrificio" della figlia, esce dal piccolo circuito e coinvolge sia gli altri personaggi sia la realtà raccontata e riflessa dentro lo specchio narrativo. Insegue vorticoso sé stesso fino a rompere i limiti dello specchio e uscire dalla narrazione, pervadendo la nostra realtà, quella dello schermo e quella della sala cinematografica. Come le schegge dello specchio, anche il sogno (irrealizzabile) di popolarità inizia a mostrare le prime crepe non appena Maddalena apprende che il vero "pass par tout" nel cinema si ottiene attraverso la raccomandazione e la corruzione. Da queste crepe (irreparabili nonostante gli sforzi di Maddalena) inizia il percorso di "discesa" verso la sconfitta e contemporaneamente di "risalita" umana e morale che porterà la madre alla finale presa di coscienza. È una sconfitta tanto drammatica quanto necessaria affinché si possa raggiungere quello che lo stesso Visconti definisce il «miglioramento» sociale, morale e umano. Ma esso si trova «in tutt'altra direzione» che non porta al di là dei cancelli di Cinecittà, con i suoi palcoscenici e set cinematografici di cartapesta, ma riconduce a casa Cecconi: quel sotterraneo spoglio e semplice ma sincero e affettuoso nido famigliare. Solo alla fine di questo percorso "obbligato" fatto di aspettative infrante Maddalena può «ritornare a casa "pulita" come è partita». Dopo aver perso tutto ha finalmente guadagnato la consapevolezza che lo spettacolo, l'arte e il cinema minacciano (e minacceranno) sempre di falsificare la vita e la realtà. Ma non possono mai modificarle direttamente: sta a noi avere il coraggio di rifiutarne il ricatto. Questa è forse la vera presa di coscienza di Maddalena. Se Visconti rende sul piano del racconto una "feroce descrizione" della natura del cinema, sul piano della storia affida questo compito al personaggio di Maddalena e all'interpretazione di Anna Magnani. Solo le sue grandi doti drammatiche riescono infatti a trasmettere appieno il senso viscontiano di sconfitta che deriva dalla cruda presa di coscienza dell'illusione del cinema e del suo conseguente rifiuto. Ma attenzione: questa sconfitta non è relativa solo a Maddalena (e Maria) e neppure ai personaggi secondari. In altre parole, la sconfitta non rimane confinata nel film e nella storia raccontata. Essa coinvolge uno spazio ben più ampio: quello storico-sociale che ha riposto nel cinema italiano del dopoguerra un utopico strumento reale e concreto di conoscenza, cambiamento, miglioramento e riscatto della propria condizione di vita. All'interno della cornice musicale dell'Elisir d'amore di Donizzetti, che, non a caso, apre il film, Visconti dipinge un moderno Blasetti-Dulcamara, venditore di illusioni, che spaccia l'elisir-cinema come il farmaco portentoso. Così Maddalena-Nemorino, come tutte le madri speranzose, per aumentarne la dose e l'effetto, cerca le raccomandazioni a qualsiasi costo. Dalla privazione del denaro alla perdita della propria dignità fino all'alienazione della coscienza materna, Maddalena diventa cieca di fronte alle sofferenze della figlia. Cieca di fronte ai pianti e ai singhiozzi di Maria (centro della costruzione drammatica), ovvero alla sofferenza ed alla sopportazione subite dalla bambina fin dall'inizio del film. Maria piange quando Maddalena, trovandola accanto a una vasca di Cinecittà, la sgrida perché, giocando (un gioco da bambini) non solo si è sporcata, ma soprattutto rischia di arrivare in ritardo al provino. Piange dal fotografo, costretta a restare in posa («tira su la faccia, senza piagne. Sorridi, su sorridi!"). Piange durante la lezione di ballo, piange dal parrucchiere, piange sentendo le grida del padre che litiga con Maddalena. Infine piange (sullo schermo) durante il provino. Bisogna attendere fino alla fine prima che Maddalena finalmente riesca a vedere la sofferenza della figlia. Bisogna attendere che diventi spettatrice "impotente" di fronte a quelle immagini (grottesche ed espressionistiche), prima di ritrovare in sé stessa la coscienza materna e riconoscere l'ultimo e disperato pianto (e richiamo) della figlia indifesa e derisa. In questo preciso istante il film rende visibile la sua natura di «cinema del veggente, non più dell'azione». Queste sono le parole usate da Deleuze per definire il cinema neorealista: crescita di situazioni ottico-sonore pure che si distinguono dalle situazioni senso-motorie del vecchio realismo. Ciò significa che, se prima il personaggio reagiva alle situazioni e lo spettatore percepiva un'immagine senso-motoria identificandosi col personaggio, ora tale identificazione si è capovolta ed è il personaggio stesso ad essere spettatore (di sé stesso). La situazione nella quale si trova supera le sue capacità motorie quindi, il personaggio, invece di reagire ad essa, la vede, la sente e la registra. Dunque, a una situazione senso-motoria se ne sostituisce una puramente ottica e sonora che dà vita ad una nuova immagine in cui il personaggio «ha guadagnato in veggenza ciò che ha perso in azione o reazione». Dobbiamo tenere a mente che la situazione ottico-sonora pura a cui ci stiamo riferendo non coinvolge soltanto Maddalena, o almeno non completamente. Visconti infatti include nello stesso lungo primissimo piano anche il viso di Maria, costringendola ad osservare la sua stessa derisione. Il personaggio di Maria raggiunge ora la piena definizione: quella di bambina che, "costretta" a vivere in un mondo adulto (il cinema), soffre di un'impotenza motoria (le pose, i passi obbligati di danza, i gesti e le battute imposte nei provini) che la rende ancor più disposta a sentire, vedere e registrare la realtà. In questa realtà la banalità quotidiana (il gioco vicino alla vasca, lo scambio di sorrisi con il piccolo aiutante parrucchiere, la richiesta di tornare a scuola), con i suoi equilibri e schematismi, assume un ruolo così importante che il suo venir meno crea un disturbo tanto forte da rendere ciò che la circonda un insieme di brutalità visive e sonore insopportabili. La realtà assume così l'andamento di un sogno o incubo. Ma, quando finalmente vengono meno le illusioni e le speranze, ovvero quando Maddalena comprende ed accetta la sconfitta, l'incubo di Maria può avere termine e lei, finalmente, può "svegliarsi dalla quella realtà" e addormentarsi serenamente. Quindi, nel pensiero deleuziano, il Neorealismo attribuisce un valore ai legami senso-motori unicamente per i disturbi che ne minano l'equilibrio, provocando la crisi dell'immagine-azione. L'immagine ottico-sonora pura, non rispondendo più alla dialettica causa-effetto, azione-reazione, come invece accadeva nell'immagine-azione, porta il personaggio ad agire solo dopo essersi visto agire: «spettatore compiacente del ruolo da lui stesso recitato». Tuttavia accade talvolta che le immagini siano "virtuali", soggettive o immaginarie come, per esempio, i ricordi, i sogni o le fantasie. In questo caso il disturbo e il disequilibrio (di cui parlavamo poco fa) creano un susseguirsi e un riflettersi (infinito) tra reale e immaginario dentro la mente del personaggio. È quello che accade a Maddalena mentre guarda l'atroce spettacolo della derisione della figlia. Attraverso le sue espressioni e i suoi sguardi immaginari non solo possiamo comprendere e vedere cosa accade dentro la sua mente e la sua anima, ma si costruisce un forte gioco di rimandi di sguardi tra noi spettatori e il personaggio che attraversano, nella stessa inquadratura, tutti i piani narrativo-diegetici "uscendo" addirittura dal film stesso. Il primissimo piano mostra Maddalena in due situazioni contemporanee e consequenziali: da un lato vede (lo schermo) e sente le risate (il che la rende spettatore, proprio come noi); dall'altro reagisce internamente (si vede agire) e, allo stesso tempo, comunica direttamente con noi (rende cioè reale) le sue emozioni e i suoi sentimenti, ovvero il suo immaginario. «Lo sguardo immaginario – sottolinea Deleuze – fa del reale qualcosa di immaginario mentre diventa contemporaneamente reale a sua volta e ci restituisce realtà». Dunque, alla definizione che Visconti dà di Bellissima come "un film su un personaggio, o meglio di una crisi", Deleuze risponderebbe che si tratta di "una specie di dramma ottico vissuto dal personaggio". Così, lasciata Cinecittà alle sue spalle e ritrovato il senso d'istintiva protezione materna (completamente opposto rispetto a quello iniziale), Maddalena può abbandonarsi in un pianto liberatorio e, seduta sulla panchina, può finalmente stringere sua figlia addormentata. Con l'illusione se ne va anche quell'ultima speranza che altro non era se non un'ulteriore ingiustizia nei confronti di una bambina. La sua bambina, che ha diritto di vivere la sua vita e non quella finta che l'egoistico affetto materno voleva imporle. Ora i venditori di illusioni con i loro elisir-veleni sono stati vinti («Cacciali via, Spartaco. Cacciali via»). L'equilibrio è ristabilito. La crisi è risolta. Il dramma che Visconti vuole portare in primo piano (soprattutto nell'ultima scena) è stato uno dei motivi che lo ha spinto a variare (rispetto alla stesura originale) i dialoghi in modo tale da permettere agli attori di raggiungere una maggior resa interpretativa. Per questo Visconti, grazie soprattutto allo stile e alla grande abilità recitativa di Anna Magnani, ha potuto mettere in pratica la sua metodologia di lavorare per "improvvisazione".«La Magnani - dice Visconti – ha una recitazione piena d'istinto popolare (…). Sa mettersi a livello degli altri, e in un certo modo sa portare gli altri sul suo». Bellissima permette a Visconti di scoprire una nuova e inedita Anna Magnani decisamente più "matura" di quella rosselliniana. Spogliata di una recitazione troppo "eccessiva" e schematica, porta alla luce di questa pellicola una personaggio concreto, originario e istintivo. Su questa straordinaria "capacità di adattamento" (se così ci è concesso definirla) e sulla straordinaria personalità della Magnani, Visconti costruisce uno dei più grandi e profondi personaggi drammatici. Tuttavia la completezza di Maddalena dipende anche dalla presenza e dal rapporto con la figlia che si riflette e si identifica pienamente nel rapporto materno (a tutti gli effetti) che Anna Magnani instaura istintivamente con la piccola Tina Apicella. Un'armonia sincera che andava trovata e trasportata dal piano reale a quello filmico, in modo da racchiudere in un unico corpo attore e personaggio: «il vero film nasce sul posto. E la cosa più importante è la scelta degli attori, cioè dei personaggi. Una volta che si sono trovati, una buona parte del film è già fatta». Non a caso Visconti definisce con il termine "vero" il film riferendosi a quell'esigenza di verità che deve provenire dall'immagine stessa, dal suo spessore e dal suo corpo, ovvero dall'attore. Attraverso il lavoro di collaborazione fatto con l'attore si possono scoprire il talento e l'istinto cinematografico che permettono persino ai non professionisti di «"dire" bene anche le più complicate battute». Luchino Visconti racconta la crisi di Maddalena cogliendola proprio nel suo manifestarsi, nel suo, potremmo dire, "essere presente" ora, in questo momento, a metà tra passato e futuro. Definisce cioè un personaggio autentico che reagisce a eventi altrettanto concreti esprimendo, attraverso la macchina da presa, emozioni interiori, reali e significative. Questa premessa riflette la concezione viscontiana di cinema antropomorfico caratterizzato dalla volontà di raccontare storie di «uomini vivi nelle cose e non le cose per se stesse». Di conseguenza la parte più interessante e complicata del compito del regista è il lavoro con il materiale umano: gli attori. Il corpo dell'attore si fonde con l'anima del personaggio dando vita a uomini nuovi che generano e vivono una nuova realtà: la realtà filmica, la realtà dell'arte. Parlare una lingua istintiva. Questo è l'obiettivo da raggiungere con gli attori. Scavare fino al nocciolo della loro natura, lasciandogli un grande margine di libertà d'azione e di battute affinché questa lingua si sveli. Tuttavia è necessario che questo temperamento sia, in qualche modo, innatamente presente nell'attore. Solo in presenza di tale germe recitativo, per quanto involuto e nascosto, l'attore potrà trovare e raccontare quella verità umana del personaggio autentico. La metodologia e l'ideologia viscontiana trovano eco nelle parole di Mario Monicelli che, molto spontaneamente, sottolinea la grande naturalezza recitativa dell'epoca: «non so perché poi... Quelli che venivano dalla Silvio D'Amico erano attori di grande qualità. Quelli che venivano dalla strada pure. Li mettevi insieme e si legavano benissimo». Attenzione però. Visconti non si sta contraddicendo. Non cancella, cioè, la denuncia e la condanna verso l'illusione neorealista della "recitazione per tutti". Semmai si ribadisce che l'illusione e la delusione vissute sullo schermo da Maddalena e Maria e (oltre lo schermo) da centinaia di madri e figlie, deriva dal fraintendimento di un messaggio forte e diretto: il cinema non è per tutti, ma solo per chi ha talento. E il compito dei registi (dei diversi Blasetti) è quello di scoprirlo, "metterlo a nudo" e portarlo in primo piano attraverso il lavoro. Solo in questo modo l'attore potrà esprimere con sincerità le proprie tendenze naturali: «eh già – dice Maddalena guardandoci quasi negli occhi - bisogna studià forse, bisogna studià». Intorno a queste considerazioni sono nate molte critiche negative che accusano Visconti per la troppa asprezza e severità delle immagini e della struttura narrativa che rendono Bellissima un film eccessivamente "crudo". Tuttavia bisogna tenere presente che Visconti prende sempre spunto da una realtà sociale effettiva, vera e vissuta concretamente. Dunque considerare l'assenza di fusione ("pericolosa", come sottolinea lo stesso autore) tra realismo e romanticismo come mera mancanza del film e dello stile viscontiano sarebbe non solo erroneo, ma offuscherebbe il valore che il cineasta dà alla realtà dalla quale «non si può e non si deve uscire». Immagine dopo immagine Bellissima suggerisce il profondo senso di patimento sofferto dal cinema del dopoguerra e percepito da Visconti. La fotografia che viene scattata definisce un panorama ben più vasto. Non si tratta solo della crisi del Neorealismo quanto già di una crisi contestuale più ampia che coinvolge l'intero sistema cinematografico italiano. Un mercato che sta crescendo senza un progetto e senza solide basi industriali, finendo col proporre una domanda che non riesce a essere soddisfatta a livello di offerta. Bellissima nasce in un clima e in un'attività cinematografica che, dopo le primissime energie post-belliche, mira a una svolta merceologica ed estetica. Proprio perché in attesa di una svolta imminente è più corretto considerare il Neorealismo non in quanto stile ancora da compiersi (come auspicava Zavattini), ma in quanto reazione cinematografica che «è durata appena lo spazio di un mattino». Giusto il tempo impiegato dal mercato e dall'industria cinematografica per dare qualche segno di ripresa e la corrente neorealistica diventava emarginazione. Ancora una volta Visconti altro non fa se non ritrarre per immagini in movimento la realtà e la verità: il destino del Neorealismo era quello di essere inevitabilmente superato e Bellissima contribuisce a decretarne la fine poetica (e politica). Siamo giunti alla fine di questo percorso analitico intorno a Bellissima e, al di là di ogni critica, considerazione e opinione, siamo convinti che, in queste immagini, il genio di Luchino Visconti sia riuscito a scrivere per i nostri occhi un importante documento sociale e culturale: infinito frammento di storia italiana. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.


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