La recensione del film Barriere

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BARRIERE - RECENSIONE

Barriere recensione
Recensione

di R. Baldassarre
[Barriere recensione] - Per la sua terza regia cinematografica, Denzel Washington adatta l'omonima piéce teatrale di August Wilson. Il divo afroamericano l'aveva già recitata a teatro nel 2010, vincendo anche un Tony Award come miglior protagonista, che va a sommarsi agli altri due Oscar vinti sempre come attore (nel 1989 non protagonista per Glory, e nel 2001 protagonista per Training Day). Il testo Fences, scritto nel 1983, fruttò ad August Wilson, considerato uno dei massimi autori afroamericani, il Premio Pulitzer nel 1985. Sono questi due "protagonisti" i poli principali della trasposizione cinematografica di Fences, che nella pellicola – e sulle tavole del palcoscenico – si tramutano in ardente recitazione e testo orale sopraffino. Pregi che sono anche i limiti, o giocando con il titolo del film, sono delle barriere che "ostruiscono" la piena visibilità (godimento) dell'opera. Denzel Washington, che si (auto) schiavizza nelle produzioni hollywoodiane, come ad esempio nei recenti blockbuster The Equalizer e I magnifici sette ambedue diretti da Antoine Fuqua, nella sua personale carriera di regista persegue il discorso di un cinema di argomentazione sociale, con al centro sempre un personaggio in lotta, contro se stesso e contro la società. Barriere segue, e probabilmente acuisce, quell'idea di un cinema nero e realizzato per un pubblico nero, in cui le delicate e complicate argomentazioni sono trattate con un linguaggio semplice, ma non per questo semplificato. Un cinema che scruta il presente, oppure affronta il passato per analizzarlo, senza essere indulgente, come fa maggiormente e da più tempo Spike Lee. Se nelle opere precedenti Denzel Washington trasponeva storie di personaggi realmente vissuti (Antwone Fisher e Melvin B. Tolson, in The Great Debaters), qui l'attore/autore si confronta con un personaggio di fantasia, ma intriso di umori di gente – nera – vera, che è poi quella della decade in cui è nato e cresciuto. I recinti (fences) del titolo, sono le palizzate caratteriali e psichiche che separano i personaggi. Barriere, il titolo italiano è molto più incisivo, che il protagonista si è creato intorno, e quando termina di costruire il recinto del giardino, il muro relazionale si chiude maggiormente tra i personaggi. In questa metafora di chiusure e spazi stretti (scenici e caratteriali) si vengono a coagulare diversi drammi, che si creano, si amplificano e si sovrastano come i cerchi in uno stagno quando si getta un sasso. Troy Maxson è il duro sasso, scagliato nella fetida vita, e da cui erompono gli altri densi drammi. Dramma personale, cioè quella autodistruttiva di Troy; dramma famigliare, che si combatte nei ristretti ambienti della casa; dramma generazionale, che nasce con gli scontri con i due figli (e con quello che ebbe Troy con il padre); dramma di un'epoca, in cui la popolazione nera negli anni '50 viveva ancora in disparte, e veniva considerata "spazzatura" (Troy e Bono raccolgono immondizia). Troy Maxson è un personaggio tanto magnetico quanto squallido, è allo stesso tempo Dio nelle sue predicazioni, e diavolo nella sua condotta educativa. Washington, non abbrutito da reiterate (e necessarie) recitazioni in superficiali blockbusters, si ritaglia il ruolo di protagonista, elargendo una magnifica recitazione, che gli ha fruttato, giustamente, una nomination agli Oscar. E seppure lui è perennemente il centro focale, si circonda di altrettanti ottimi attori, a cominciare da Viola Davis, che aveva già recitato Fences in teatro con lui, aggiudicandosi anch'essa il Tony Award. Ineccepibile nella realizzazione, Barriere risulta un'opera tanto curata quanto programmatica nella costruzione, seguendo diligentemente il testo teatrale, sia a livello di progressione sia a livello di pochi ambienti. In una delle prime scene, in cui Maxson, l'amico Jim Bono e il figlio maggiore Lyons sono nel salone, Troy è stravaccato sul divano e continua a sproloquiare e discettare. I due astanti lo guardano rapiti, perché viene considerato un ottimo cantastorie, e anche noi siamo ammaliati da questa performance di Troy Maxson, alias Denzel Washington. Purtroppo l'eccessiva durata fa perdere la forza e l'immediatezza del dramma, e Washington regista non sa essere un affabulatorio cantastorie per tutto il tempo del film, come il protagonista. (La recensione del film "Barriere" è di Roberto Baldassarre)
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