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Babadook recensione] - Babadook non è il solito horror. Anche se gettandolo nella mischia delle sale estive semivuote, dove l'horror va sempre per la maggiore, qualcuno vorrebbe farcelo credere. Invece no, Babadook non è The poltergeist. Chi è Babadook? Babadook è l'uomo nero, è il babau cattivo, è il mostro sotto il letto. Babadook è la somma delle nostre paure, è i nostri traumi irrisolti, rimossi o spostati ma che lì rimangono e lì rimarranno se non li si affronta. Una volta per tutte. L'australiana Jennifer Kent, al suo primo lungometraggio, ci regala un horror atipico, lontano dagli standard decerebrati a cui il cinema ci ha abituato negli ultimi tempi, al punto che la definizione di "horror" gli va decisamente stretta. Nessun spavento improvviso, nessuna apparizione raccapricciante dietro alla porta, nessun bambinello indemoniato, nessun effetto speciale dozzinale a tinteggiare scenari splatter o sovrannaturali. Qui il terrore è affidato ad un libro pop up illustrato e a trucchi artigianali che citano Melies, per farsi veicolo di una paura più sorda e profonda rispetto al balzo facile che si compie sulla sedia per una porta che sbatte o per un grugnito belluino che spacca l'impianto acustico del cinema. Tra Polanski de L'Inquilino del terzo piano e Repulsion, con un pizzico de Il Sesto senso, Babadook è un film che sa usare i canoni dell'horror in funzione metaforica per farsi parabola esistenziale dai molteplici livelli di lettura (non solo il trauma subito dalla protagonista anni prima, ma anche il rapporto morboso madre e figlio, applicabile, in misura variabile, ad ogni nucleo famigliare), dramma psicologico che sa attingere ai concetti freudiani di rimozione, negazione e perturbante per svelare la follia celata dietro la ricerca disperata di una normalità apparente. E' dalla follia che scaturisce la paura, la paura di perdere il senno, di non distinguere più il reale dall'immaginario, il sonno della ragione che genera mostri (impressionate l'interpretazione della protagonista, Essie Davis, capace di dare corpo ad un delirio montante che da interiore emerge fino a livello epidermico). L'angoscia che genera Babadook, l'incarnazione di tutti i nostri demoni, piccoli o grandi che siano. Jennifer Kent gioca con le atmosfere, con le ambientazioni, con le angolazioni distorte; sfrutta la fallace percezione data dalla sicurezza degli ambiente domestici che ad un tratto diventano alieni; dà vita ad un ribaltamento di prospettiva micidiale, simile ad un cambio di scena tanto radicale quanto impercettibile, narrato lungo una progressiva discesa agli inferi, lenta ed inesorabile, in fondo alla quale, pare dirci, solo l'amore autentico, quello che non muore anche se soffocato da gelosie e invidie, dagli innumerevoli timori di non farcela, dalle innumerevoli miserie quotidiane, solo quello può impedire il baratro, indicare la via per la catarsi e da lì ottenere una non scontata salvezza.
(La recensione del film "
Babadook" è di
Mirko Nottoli)
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