di R. Gaudiano
[
Assandira recensione] - Terra sarda, bella e selvaggia, terra di Costantino Saru (Gavino Ledda) che sotto una pioggia copiosa e sferzante abbraccia il corpo di Mario (Marco Zucca), suo unico figlio, vittima dell'incendio che ha distrutto la sua proprietà, Assandira. Tutto ha distrutto l'incendio. Casa, pecore, maiali, cavalli, galline e struzzi, tutto il lavoro dell'agriturismo di Costantino e del figlio Mario, tutto ha portato via, ma non la vergogna. Costantino Saru ha il volto duro e granitico come le sue ataviche montagne, rocce secolari di una Sardegna di gente dignitosa che trova eterne certezze nella semplicità della vita e del lavoro dei pastori. Salvatore Mereu torna a raccontarci la sua terra attraverso i volti di Costantino, Mario e Grete (Anna König). Dalla scena iniziale, il racconto si dipana a ritroso, nel lento aggomitolarsi in una matassa che, prendendo forma, spiega le dinamiche che sottendono a compromessi rapporti famigliari. Mario e la sua compagna tedesca, Grete, fanno ritorno dalla Germania in terra sarda con il preciso progetto di trasformare la proprietà di Costantino in un agriturismo che rappresenti la storia antica del luogo in un'identità suggestiva ed accattivante. Costantino, se dapprima titubante, accetta il progetto senz'altro audace, anche affascinato dalla scaltra insistenza della nuora. Grete è l'intrusa, la straniera che stravolge un sistema culturale fatto di certezze immobili, una quotidianità immersa nella tediante solitudine dell'arte pastorale. Eppure, per Costantino la sua vita in solitudine è ricca simboli, di cose custodite nella memoria di ricordi ostili ma intoccabili che Grete osa profanare in un gioco affidato ad un profitto economico stridente con i canoni della tradizione atavica della gente di Sardegna. Il cineasta sardo con una scrittura che predilige i primi piani soggettivi, fa un cinema straordinario, un cinema che si traduce in una riflessione sullo sguardo umano, sulle persone, sulla loro vita, sui luoghi che abitano, ricomponendo non solo tutto quello che sottende alla scena iniziale, ma coglie il capo della matassa e la avvolge con maestria, facendo diventare anche i luoghi personaggi, testimoni di tanta vergognosa profanazione. Costantino, l'uomo rispettoso verso sé stesso, che sa come rapportarsi alle bestie, è preso da un sentimento che lo annienta, insopportabile, la vergogna. Eppure quest'uomo aveva creduto nel desiderio di guardare avanti. Alla fine però non sopporta il tradimento, la bugia, la profanazione del suo essere prima di tutto sardo, gestito come un gioco crudele, come un tradimento gratuito verso un uomo che si è concesso invece in tutta la sua fiduciosa limpidezza. La mdp di Mereu è occhio attento ai volti, agli sguardi carichi di moti dell'animo e scardina così in maniera eclatante e decisa la sintassi del racconto antropologico, tanto cara al cineasta sardo. "Assandira" nell'intreccio di storie possibili che alla fine guidano tutta la narrazione in un crescendo di chiarificazioni, arriva alla chiusura inesorabile del cerchio. Un film forse feroce, passionale e vero, "Assandira" affida la profanazione di una cultura tutta nel volto straordinario di Gavino Ledda, che pare non reciti la sua performance di uomo tradito nella sua dignità, tanto è autentico. Idea tratta dall'omonimo romanzo di Giulio Angioni, "Assandira" gode di dialoghi straordinari e della bellissima fotografia di Sandro Chessa.
(La recensione del film "
Assandira" è di
Rosalinda Gaudiano)
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