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Arrival recensione] - Dopo Prisoners e Sicario, per Denis Villeneuve, è arrivata la prova del nove, la cartina di tornasole sulla via della definitiva consacrazione (in attesa di vedere il rischiosissimo sequel di Blade Runner che ci dirà se ha le credenziali per entrare nell'olimpo del cinema oppure no), alle prese con una grande produzione fantascientifica. Amante dei generi, ma solo per piegarli al suo stile, di primo acchito Arrival è un film di fantascienza. Si parla di un'invasione aliena, che cosa di più scontato? 12 astronavi arrivano sulla Terra stazionando a mezz'aria come quella di District 9. Sono nere, immobili, imperscrutabili. Arrival è un film di fantascienza in cui gli alieni non sparano, parlano. E' un film di fantascienza ma solo nell'involucro perchè in realtà è un film metaforico e intimista che parla di noi, l'unica chiave corretta per ricorrere alla fantascienza. La protagonista Amy Adams è una linguista il cui compito è quello di comunicare con gli extraterrestri, esseri dotati di sette tentacoli avvolti nella bruma che non hanno propositi bellicosi. Che propositi hanno? Diffice a dirsi. Ci vogliono aiutare o forse vogliono essere aiutati. Agli spari Villeneuve preferisce il silenzio, ai raggi laser i segni di inchiostro, all'azione ipercinetica la riflessione filosofica, agli effetti speciali le atmosfere metafisiche. Enigmatico, polisemico e circolare, Arrival abbraccia tutta la migliore tradizione fantascientifica cinematografica, da 2001 a Incontri ravvicinati a Interstellar. Ma se ne distacca anche. La chiave di lettura più superficiale è quella dell'incomunicabilità, dell'incomprensione dovuta alla diversità delle lingue che genera chiusura, diffidenza, paura. A livello sociologico si potrebbe dire che se si fosse usato e si usasse maggiormente la via diplomatica molte guerre si sarebbero potute e si potrebbero evitare. Ma c'è di più perchè comprendere una lingua non significa solo capirla, significa penetrare nella mentalità di un popolo, scrivere bene significa pensare bene. Ecco allora che sorge il dubbio che le potenzialità della lingua siano ancora utilizzate solo in minima parte, solo per scambiare informazioni, scrivendo in unica direzione da sinistra a desta, da destra a sinistra, dall'alto in basso, quando invece potrebbero aprire un universo a 360 gradi, spaziale e temporale. Non si tratta di tradurre ma di interpretare, non si tratta di ricevere indicazioni pratiche ma di svelare le radici e i meccanismi del pensiero. Fin qua tuttavia Arrival pare un rompicapo confinato nell'ambito di una disciplina scientifica, la linguistica appunto, che compie elucubrazione intellettuali sì intriganti, ma tutto sommato distanti, quantomeno se non si fa parte di una ristretta cerchia di professori accademici. Invece la linguistica c'entra poco perchè l'arrivo degli alieni potrebbe coincidere con l'arrivo di un figlio o con la fine di una relazione o con la perdita di una persona cara. La lingua allora potrebbe essere la chiave con cui affrontare l'ignoto, la ricerca di un alfabeto nuovo per ritornare a vivere, per poter convivere con il dolore, per far rivivere il passato nel presente, per non essere soffocati dai ricordi. Lo capiamo nel finale guardando attraverso gli occhi di Amy Adams, occhi grandi, intensi, che dicono senza parlare. Il finale è un colpo al cuore che mette tutto a soqquadro.
(La recensione del film "
Arrival" è di
Mirko Nottoli)
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