La recensione del film Anita B.

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ANITA B. - RECENSIONE

Anita B. recensione
Recensione

di R. Gaudiano
[Anita B. recensione] - Il presente non esiste senza il passato. Specie se si tratta di un passato di pura e terribile sopravvivenza. Anita (Elina Powell), un'adolescente di origini ungheresi è sopravvissuta ad Auschwitz. Rimasta sola è accolta in casa della zia Monika (Andrea Osvart), sorella del padre, che non mostra alcun segno di benevolenza nei confronti della nipote. La famiglia vive tra le montagne della Cecoslovacchia, vicino Praga. In questa atmosfera famigliare ostile, Anita conosce l'intraprendente Eli (Robert Sheehan), fratello di Aron(Antonio Cupo), marito di Monika e tra i due nasce un'intesa amorosa. Ma la vita non è facile in quel villaggio dei Sudeti, territori in precedenza occupati dai tedeschi, rimpatriati a forza, ed ora abitati dagli scampati che devono fare i conti con l'avvento del comunismo. Tutti in quel villaggio vogliono dimenticare gli orrori della persecuzione nazista. Anita non può, non vuole dimenticare i suoi genitori uccisi nel lager e l'esperienza del campo di concentramento. Neanche Eli la ascolta e la comprende. Unico suo interlocutore, silenzioso e attento è il piccolo Roby, figlio di Monika. Intorno ad Anita c'è un'umanità variegata di lingue, religioni e valori, con cui la giovane donna tesse una rete di relazioni che la forma e la fa diventare adulta. Roberto Faenza con "AnitaB" ripropone le nefandezze della Shoah e la ricerca di ricostruzione dell'identità di un popolo attraverso la memoria. Ispirandosi liberamente al racconto di Edith Bruck, "Quanta stella c'è in cielo" (per questo il regista ha aggiunto la B ad Anita), Faenza racconta la possibile riconquista della vita dopo le violenze subite durante la Shoah. Racconta l'animo ferito di Anita, una ferita copiosa, eredità eterna di quel vissuto indimenticabile nei campi di sterminio. Eppure questa ragazza dalla personalità solare e franca, riesce a vivere con il ricordo di un passato annichilente, sognando l'amore, la vita, la gioia di esistere, pur interloquendo con l'immaginazione con i genitori ormai scomparsi. Faenza, rispettando una produzione stilisticamente curata e attraente, continua ad attingere idee dalla letteratura. Così è stato per un altro dei suoi film sempre sulla Shoah, "Jona che visse nella pancia della balena", tratto dal libro autobiografico di Jona Oberski. "AnitaB", come è stato per "Jona che visse nella pancia della balena", è un film delicato e sensibile, ben articolato nella descrizione attenta del percorso formativo della protagonista, tra l'amore, le amicizie importanti, memoria e aspettative, dolori acuti e speranze nascenti. Un intenso spaccato di rinascita fisica e morale, una forza vitale intrisa di un dolore indimenticabile, ma proprio per questo capace di capovolgere il presente e progettare un futuro positivo. Faenza, con pudore e discrezione, realizza un film autentico per una poetica tutta personale, nel racconto misurato di confini culturali, raggiungendo un risultato artistico di cinema d'autore sobrio e di tutto rispetto. La sua Anita impara in fretta a diventare donna, impara che l'identità culturale e d'appartenenza è condivisione di certezze ed affetti importanti per poter guardare con serenità al futuro. In conclusione, anche se certe tematiche di contorno sono solo abbozzate, "AnitaB" riesce a coinvolgere, rivelandosi un film più che buono. (La recensione del film "Anita B." è di Rosalinda Gaudiano)
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