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Ana Arabia recensione] - Yael è una bella e ambiziosa giornalista. Si reca a Giaffa Yael, una zona remota della Terra Santa, lontana dal sanguinoso conflitto tra palestinesi e ebrei, per indagare sulla vita di una donna ebrea sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti; quest'ultima ha sposato un arabo e si è convertita all'Islam. Yael raccoglierà attraverso una serie di interviste tra amici e parenti non solo la storia della donna, ma anche quella degli intervistati in questione, che gli faranno conoscere un mondo del tutto estraneo a quelle istanze ideologiche alla base del problema israelo palestinese. Amos Gitai è un regista ammirevole. Non ha paura di osare e di sperimentare nel suo cinema. Attraverso infatti, un ardito piano sequenza di 81 minuti, segue la protagonista nel suo viaggio in quell'altro mondo arabo ebraico dove i due popoli convivono pacificamente, al di là delle religioni e delle ideologie, e dove dunque una convivenza tra palestinesi e ebrei è possibile. Questo per ribadire un concetto tanto caro al regista sulla possibilità che la risoluzione dell'odio tra i due popoli non sia poi così utopica. Il film appare sicuramente più sincero e viscerale per la scelta del piano sequenza, il quale, permette allo spettatore di entrare nel vivo dell'indagine giornalistica della protagonista. Yuval Scharf, di suo, è un'attrice coraggiosa. Non è facile girare in presa diretta con una macchina da presa che ti segue ovunque senza che tu possa fermarti o possa permetterti di sbagliare per girare un altro ciak. Perciò tanto di cappello alla talentuosa attrice israeliana. Se dovessimo dare un voto al film solo per la scelta del piano sequenza e la grande capacità del regista e dell'attrice di sapersi destreggiare magnificamente con questo esperimento, Ana Arabia prenderebbe il massimo dei voti. Purtroppo, non sempre al buon uso di una tecnica corrisponde un risultato notevole. Nel caso di Ana Arabia la scelta del piano sequenza da si maggiore verità all'opera, ma la penalizza e l'appiattisce in quanto opera filmica. Il racconto dei protagonisti spesso risulta complesso e monotono, vi è qualche imbarazzante tempo morto che fa venir voglia di eliminare quelle parti per andare avanti. Ci si perde in storie e in annedoti inutili o difficili da seguire. In televisione. quando si fa un'intervista, attraverso un'abile taglio e cuci si presenta il tutto bello e pronto, preso nei suoi punti più salienti. Questo sarebbe risultato utile anche ad Ana Arabia. Il film osa troppo ed il risultato è una narrazione che disperde il suo scopo, quello di raccontare una storia. Alla fine ci si chiede quale sia l'anima del film. Non si riesce a penetrare veramente nella storia di questa donna ebrea scampata ad Auschwitz e i suoi orrori ed è un peccato.
(La recensione del film "
Ana Arabia" è di
Giuseppe Sciarra)
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