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Amy recensione] - Film evento per soli tre giorni nelle sale, presentato in anteprima nazionale al Biografilm Festival di Bologna qualche mese fa, Amy, di Asif Kapadia, già autore di un altro acclamato documentario "Senna", porta in scena la breve, folgorante e controversa carriera di Amy Winehouse, voce e talento jazz fuori discussione, morta per avvelenamento da alcol il 23 luglio 2011. Neanche a farlo apposta a 27 anni. Come Cobain, come Hendrix, come Morrison, come Joplin. Nell'era del digitale "Amy" è forse il primo documentario costruito esclusivamente utilizzando filmati originali, ripresi in tempo reale. Nell'era del digitale non serve più ricostruire, non servono più le interviste ai protagonisti che ricordano oggi quello che è stato ieri, non servono più salti mortali con la macchina da presa per incollare tramite un lenta carrellata o una dissolvenza incrociata due vecchie foto sgranate in bianco e nero, uniche testimonianze rimaste del passato. Nell'era del digitale, il passato, prossimo per il momento, è lì, in qualche RAM di memoria dei nostri svariati dispositivi. Basta selezionare, montare e il film della nostra vita è fatto. Così per Amy Winehouse, dai 16 anni fino al giorno della morte possiamo seguire passo a passo la sua crescita, la carriera, i primi successi fino al trionfo planetario e infine la caduta. Immagini private, raccolte tra le mura domestiche si mescolano ai filmati di repertorio senza quasi più distinguere le una dagli altri, immagini spontanee di una Amy ragazzina ancora sconosciuta ci consentono un ritratto quanto mai intimo e sincero. Forse nessun documentario è mai stato così privo di filtri, così privo di interpretazioni. Così è per tutta la prima parte, in cui la musica, il jazz e la voce della Winehouse sono assoluti e prepotenti protagonisti al centro del racconto, al centro della vita della cantante come fosse un tutt'uno. Vita e processo creativo scorrono uniti, in parallelo, permettendoci di entrare nel cuore delle canzoni nella misura in cui le canzoni affondano le radici nelle esperienze di vita. Per tutta la prima ora Amy è magistrale e lo diciamo noi che non siamo mai stati fan dell'artista. Poi purtroppo all'apice del successo Amy sbanda e cade nel gorgo che tutti conosciamo e il film va giù con lei. Quando ci sarebbe solo da tratteggiare, sorvolare, accennare con leggerezza, il film si fa greve e si ostina a indugiare, soffermandosi ad analizzare ogni scalino di questa tragica e infinita discesa agli inferi. Sarà che i drammi umani sono sempre troppo intimi e troppo personali per essere compresi, nella decisione di una persona di autodistruggersi c'è tanto di imponderabile che non è possibile tentare di spiegarla a parole senza che le parole non finiscano per renderla stupida e ridicola. Una cantante che non vuole fare un concerto già in programma e sale sul palco ubriaca fradicia rifiutandosi di esibirsi, fa venire voglia solo di prenderla a ceffoni, perché agli occhi del pubblico, anche in maniera sacrosanta, non ci sono giustificazioni. Non quelle che il film sembra sgranare come un rosario, cercando un colpevole che è sempre altro da noi: il fidanzato Blake descritto come fosse il demonio, il padre approfittatore, la bulimia non curata, i paparazzi sciacalli, l'attenzione mediatica, il successo che dà alla testa, la casa discografica che ti spreme. Tutto vero e tutto finto. Non è questo il punto. Il punto è che per un'ora intera il film si trascina a dire cose senza rendersi conto che non c'è niente da dire.
(La recensione del film "
Amy" è di
Mirko Nottoli)
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