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Amore carne recensione] - «Il cinema non è arte e non è tecnica: è un mistero» con questa citazione di Godard, Marco Müller, direttore del Festival del Film di Roma, durante la conferenza stampa di questa mattina, ha dato legittimità (se ce ne fosse stato bisogno) alle scelte stilistiche dell'ultimo film di Pippo Delbono, Amore carne. E in effetti di tecnica, per lo meno registica, questo film ne ha ben poca: girato interamente con la fotocamera di un cellulare e una piccola camera full-HD, il film di Delbono (come del resto tutte le sue rappresentazioni) rifugge le classificazioni; non lo si potrebbe definire un documentario, non è commedia e neppure musical. È tutto insieme. È un diario di viaggio, che come tale non racconta una storia precisa, ma testimonia la vita che scorre, gli incontri e i sentimenti. In questa testimonianza trova spazio sua madre, protagonista di una lunghissima inquadratura fissa, la più emozionante del film, durante la quale Delbono dà il via a un intenso monologo in cui, con sarcasmo e grande affetto, descrive una donna logorroica e monotematica, come tutte le mamme, che si preoccupa che il figlio mangi ma non troppo perché ingrassare non fa bene, che parla senza sosta, passando da un argomento all'altro, finendo inevitabilmente per rievocare il grande amore perduto. In questo squarcio di realtà, come uno schiaffo in pieno volto, si consuma anche il dramma della sieropositività: in una sequenza ambientata in ospedale, dove Delbono si sottopone al test dell'HIV, si consuma un siparietto tragicomico tra una pila di scartoffie da compilare e le domande di un'ignara dottoressa che non sa di essere ripresa né che Delbono sa già di essere positivo al test. E poi i vari camei, da Tilda Swinton a Marisa Berenson che il regista fa incontrare con Bobò, storico membro sordomuto della sua compagnia, sopravvissuto a cinquanta anni di manicomio. Ma l'esperienza di Delbono non si ferma al cinema e la componente di pregio del suo film risulta essere proprio questa compenetrazione fra tutti i linguaggi dell'arte: la musica nella persona (e nel violino) del famoso musicista rumeno Alexander Balanescu, la danza con Marie-Agnes Gillot, étoile all'Opera di Parigi, la poesia con stralci di Pasolini, Rimbaud, T.S. Eliot e pezzi inediti scritti/recitati/cantati/urlati fuoricampo dalla profonda e inconfondibile voce di Delbono. È questo tratto a conferire valore e significato a un progetto tanto ardito come Amore carne: senza una simile commistione non ci sarebbe stato merito nelle sole immagini. Si tratta di un'opera che con ogni probabilità non avrà grande riscontro, a causa di un pubblico da troppo tempo assopito, stando al dissacrante quadro sociale delineato dal regista, che ha la colpa di assimilare il cinema a un passatempo, a un momento di disimpegno, mentre invece (secondo un'ideologia non dissimile a quella che un secolo fa professava Brecht) dovrebbe vederci un momento di lucida riflessione e di presa di coscienza.
(La recensione del film "
Amore carne" è di
Francesca Cantore)
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