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Alita recensione] - Batte un cuore colmo di passione e tenacia in "Alita: l'angelo della battaglia", lo stesso che pulsa all'interno della sua protagonista cyborg rendendola umana. Già, perché dietro al lavoro di James Cameron (sceneggiatore e produttore) e Robert Rodriguez (regista) si cela tanto desiderio e passione per il proprio lavoro. Eppure la voglia di stupire e ammaliare non salva il film da numerosi difetti derivanti soprattutto da una profondità latente e non profondamente sfruttata.
La storia di Alita ha inizio a Iron City nel 2563 quando il dottor Dyson, perlustrando una discarica in cui cadono i rifiuti dalla città sospesa di Zalem, trova la parte centrale di una ragazza cyborg. Una scoperta inaspettata che stuzzica la fantasia del dottore, tanto da portarlo a innestarla nel corpo, mai utilizzato, destinato a sua figlia Alita. La ragazza, cyborg avanzatissimo di una tecnologia perduta e progettata per la battaglia, non ha più memoria di sé. È infatti combattendo che lentamente riaffiorano le sue memorie, fino a spingerla a entrare prima tra i cacciatori di taglie della città e poi nei ferocissimi tornei di Motorball. Ma nel corpo di Alita batte anche un cuore destinato a un ragazzo umano che sogna di raggiungere Zalem, luogo da cui una forza sinistra sembra essersi interessata proprio ad Alita.
Sebbene questo film di fantascienza cyberpunk ricco di azioni ponga le sue basi su un impianto visivo immaginifico ed encomiabile nella sua strutturazione digitale, il comparto narrativo non si rivela all'altezza di quanto riportato visivamente sullo schermo. Mediato da un romanticismo tipicamente cameroniano, e influenzato da racconti tipici del genere ("Blade Runner" in primis, anche se al posto della pioggia incessante di Los Angeles ci troviamo qui di fronte a un sole accecante perenne) e da collegamenti diretti al suo d'origine (il manga scritto e illustrato da Yukito Kishiro del 1990) la sceneggiatura si caraterizza di troppe domande irrisolte, e un ritmo serrato che non sempre permette allo spettatore di seguire con facilità lo scorrere degli eventi. Il risultato che ne consegue è una storia piacevole da ammirare ma che fatica a rimanere impressa nella mente dello spettatore.
Sembra quasi un paradosso la scelta di Cameron, il regista che per ben tre volte di fila ha ottenuto il primato di creatore dei film più costosi di tutti i tempi, di affidare la propria creatura, come un genitore che affida a un tutore un proprio figlio, a un autore come Robert Rodriguez, uno che, cioè, dà vita alle proprie opere sullo schermo con il minimo indispensabile. La presenza di Cameron come sceneggiatore c'è, e si sente, riducendo spesso e volentieri Alita a una moderna Frankenstein alla ricerca d'amore, quando di carne sul fuoco da cuocere e servire calda ai propri spettatori ce n'era in abbondanza. Dolce e a tratti commovente è il rapporto tra Alita e il suo "padre-creatore, così rassomigliante a quello che lega Pinocchio e Geppetto nella fiaba di Collodi, piuttosto che al più recente legame tra il cyborg Ava e il creatore Nathan in Ex-Machina di Alex Garland. Tra tante cadute e tentennamenti narrativi, in un universo digitale in cui ogni ambiente riempie gli occhi dello spettatore di meraviglia e sorpresa, il vero tocco di classe, nonché punto di forza di Alita, è aver inserito una protagonista in CGI muoversi tra interpreti umani. Così facendo non solo si sottolinea lo stato di cyborg del personaggio e la natura divergente tra la ragazza e i suoi interlocutori umani, ma si ribadisce la maestria del comparto tecnico e digitale, vero fiore all'occhiello di una personalità autoriale come quella di James Cameron, attento – si pensi ad Avatar - a unire il corpo dell'attore ai software dei computer.
Sebbene il finale lasci presagire un probabile sequel (eventualità frenata da incassi deludenti in America) "Alita: l'angelo della battaglia" risulta alquanto autoconclusivo. Un sali-scendi continuo, dove il ritmo altalenante della narrazione fa da contraltare al battere intenso e febbrile di un cuore tecnologico capace di dar vita a un'opera dalla potenzialità immane ma non del tutto sfruttata.
(La recensione del film "
Alita" è di
Elisa Torsiello)
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