La recensione del film Aladdin

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ALADDIN - RECENSIONE

Aladdin recensione
Recensione

di M. Marescalco
[Aladdin recensione] - Durante gli ultimi anni, Walt Disney Pictures ha scelto di realizzare otto remake in live-action dei propri classici animati. Nel 2019, questa sorte è già toccata a Dumbo, rinato grazie all'immaginazione di Tim Burton. Alle spalle di Aladdin si colloca Guy Ritchie, abile regista di Sherlock Holmes e del recente King Arthur, particolarmente muscolare e dotato di una sensibilità ultra-pop e cinetica. Per quanto riguarda l'adattamento, niente particolarmente nuovo sul fronte occidentale: Aladdin è un giovane di Agrabah convinto dall'inganno partorito dal malvagio Jafar ad entrare nella Caverna delle Meraviglie. Dentro la grotta, trova una lampada magica che contiene un genio in grado di esaudire soltanto tre desideri. Aladdin chiede di essere trasformato in principe per poter conquistare il cuore della bella Jasmine, figlia del sultano e principessa particolarmente acuta. Ma il malvagio Jafar inizia a tessere la sua tela e fa di tutto per impadronirsi del potere ed evitare il matrimonio. Allo stesso tempo, Aladdin si interroga su sé stesso e arriva ad un'importante consapevolezza: fingersi diversi da ciò che si è non è per niente un bene. Ad attirare l'attenzione su questo live-action è indubbiamente la figura di Will Smith, attore particolarmente importante nel pantheon hollywoodiano. È trascorso più di un decennio da Io sono leggenda e dalla prima collaborazione con Gabriele Muccino, eppure Smith sembra continuare a percorrere quegli stessi binari seguiti anche in After Earth di M. Night Shyamalan e in Bright di David Ayer. Training corporeo, afflato eroistico e costanti ricerche della felicità. In questo nuovo film diretto da Ritchie, l'attore interpreta il Genio della Lampada, noto a tutti coloro che abbiano anche solo sentito parlare del film d'animazione Disney del 1992 o, magari, de Le mille e una notte, da cui quel cartone animato era tratto. Nessuno meglio di Smith, in un certo senso, avrebbe potuto interpretare il ruolo del Genio, un "mostro" tra gli umani, animato da un solo desiderio: quello di diventare anch'egli un essere umano e di provare, quindi, la fugacità della vita umana. Insomma, quest'assunto di base somiglia tanto a Il cielo sopra Berlino e al suo remake americano City of Angels (sempre di ectoplasmi e di ricerche della felicità si parla). A parte questo contrasto tra desiderio di fuga e necessità di ottemperare al proprio ruolo, il film non si dimentica solo grazie alle capacità di Ritchie, che innerva il suo tessuto di uno stile videoludico che diverte, almeno durante il primo atto. Aladdin è trasformato in una sorta di Charlie Chaplin moderno, viene velocizzato e rallentato, come tipico del regista. Per il resto, il film perde interesse e si trasforma in un semplice remake da dare in pasto alle generazioni più giovani che non hanno avuto l'opportunità di andare al cinema nel 1992 e, perché no, di divorare il film su cassetta. E, in fin dei conti, può pure andar bene così. (La recensione del film "Aladdin" è di Matteo Marescalco)
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