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Alabama Monroe recensione] - Attraverso continui flash back Felix Van Groeningen ricompone i frammenti di una storia di due giovani amanti la cui affinità sembra aver valicato il confine tracciato da lunghi mesi di riprese. È più che meritato il premio EFA assegnato a Veerle Baetens come miglior attrice europea per il ruolo di Elise, nel film duetta al fianco di Didier, il cantante di bluegrass interpretato da Johan Heldenbergh (autore della pièce teatrale da cui è tatto il film). I due s'incontrano in un negozio di tatuaggi. Il corpo della giovane belga ne è totalmente ricoperto, si decifrano tracce di passati cancellati e riscritti da segni e immagini, talvolta evocativi di mondi folkloristici, talvolta grotteschi quasi a contrastare con il candore della sua fede cattolica e della dedizione con cui si concederà a Didier. Questa unione senza riserve genera Maybelle. Cullata tra il suono di banjo e violino, diventa il centro di quel "Circle" che inebria le loro vite di estasi e musica, di quel "country nella versione più pura". Sino a quando alla loro unica figlia verrà diagnosticato un tumore. Il cancro, che seppellirà la piccola sotto una terra umida e amara a soli 7 anni, romperà irreversibilmente quel cerchio.
Felix Van Groeningen sa dove dirigere le emozioni, lacrima per lacrima, le lascia scivolare sulla pelle dello spettatore. Sembra di essere in cima a una collina, di percorrerla alzando i piedi dai pedali, sfiorare l'erba dei prati per lasciarsi trascinare a ritmo delle canzoni di Bill Monroe… Ma poi la discesa finisce, i ciottoli sul sentiero si fanno montagne e l'erba luminescente del blue-grass si fa sempre più cupa.
Al dolore si somma altro dolore, un vortice di accuse, rimpianti e rimorsi trascinerà Elise e Didier a consumarsi in una spirale autodistruttiva. L'incapacità di cambiare l'uno per l'altro, di oltrepassare il perimetro delle proprie convinzioni impedirà loro di superare la perdita.
"Alabama Monroe" porta le emozioni quasi all'esasperazione, ma è il tessuto che gli da vita, il sostrato socioculturale che alla base le scatena a non emergere. Quella narrata in "The Broken Circle Breakdown" (candidato agli Oscar come miglior film straniero) è stata definita una storia d'amore. Avrebbe potuto essere molto di più. I temi sottesi sono ingombranti: dal senso di colpa all'autodistruzione, dall'ateismo all'elaborazione del lutto. Ma manca qualcosa.
Rimane troppo sullo sfondo la fede in cui Elise si rifugia per trovare cieca consolazione alla perdita, contrapponendosi alla cinica razionalità del compagno. La passione di Didier per il sogno americano, per la terra dove è germogliata la sua musica e per il paese dove tutto è concesso, sembra fare da semplice cornice. Rimane circoscritta in un monologo teatrale la sua delusione, quando quello stesso sistema che tanto venerava, in nome della religione, ostacola la ricerca sulle cellule staminali che avrebbe potuto salvare Maybelle. E così il profumo che inebriava il suo quotidiano inizia ad avere un odore alacre, fino a rendere l'aria irrespirabile.
(La recensione del film "
Alabama Monroe" è di
Clara Gipponi)
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