La recensione del film Adam

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ADAM - RECENSIONE

Adam recensione
Recensione

di R. Gaudiano
[Adam recensione] - E' una storia di donne, "Adam", diretto da Maryam Touzani, sceneggiatura di Nabil Ayouch, debutto alla regia della regista marocchina, presentato al Festival di Berlino 2020, a Cannes 2019 nella sezione "Un Certain Regard" ed ora in concorso al Festival del Cinema Africano Asia e America Latina, nella sezione "Donne sull'orlo di cambiare il mondo". La storia, nella sua semplicità, porge la complessità di stati d'animo sofferti e contrastanti di due donne, Samia (Nisrin Erradi) incinta e prossima a partorire e Abla (Lubna Azabal), che ha un negozio di panetteria, rimasta tragicamente vedova con una bambina di otto anni. L'una rifiuta una condizione personale senza speranza e l'altra, imprigionata in un dolore eterno di un lutto mai elaborato. Samia porta in grembo il suo bambino, frutto di uno sbaglio, bambino mai accettato e mai amato. Abla, dalla maschera coriacea, struttura il suo quotidiano in modo impassibile e metodico e finalizza la sua vita in funzione dell'educazione rigorosa della sua piccola Warda, nel ricordo di un marito che una mattina maledetta è tornato a casa cadavere. Maryam Touzani affida alla mdp due volti di donne che scrutano lo spazio della quattro mura domestiche, dove i classici lavori domestici dedicati alla panificazione per scopo commerciale fanno da collante a due esistenze provate da sentimenti tutti al femminile. La semplicità della narrazione, a tratti anche confinata in una lentezza ragionata, racconta in sottotraccia il sostrato culturale nella Medina di Casablanca in cui la donna ha ancora una destinazione di confinamento sociale. Alla donna non è consentito di partecipare fisicamente al rito funebre del proprio marito e di essere la madre di un figlio avuto fuori dal matrimonio. Ed è così, dopo un approccio iniziale di rifiuto d'aiuto da parte di Abla nei confronti di Samia, le due donne si (ri)conoscono in una sofferenza propria di genere, una condizione sociale figlia di un costrutto culturale atavico ed impenetrabile, difficile da combattere e cambiare. Se la morte non appartiene alle donne, allora alla donna è destinata la vita. Samia dà alla luce il suo bambino in casa di Abla. Subito rifiutato, a quel bambino sua madre non destina neanche un nome. Sarà Abla, con tatto e discrezione a cambiare in dolcezza il sentimento avverso di Samia verso il suo piccolo, che alla fine accarezzerà, allatterà e chiamerà Adam. Ciò che la regista riesce a mettere in scena in modo del tutto originale è un'umanità che soffre in silenzio la propria condizione di sudditanza ad una cultura che stenta a riconoscere la diversità di genere come ricchezza fondante della società. Un tormento insopportabile cui le due donne, in modo differente sono costrette ad arrendersi. Ma la forza del cambiamento è come un dono che apre lo sguardo di Abla alla vita ed il sorriso di Samia nell'accarezzare il suo bambino, con tutto l'amore di una madre. "Adam" si risolve in una speranza attesa e voluta, fatta di sguardi e sussurri, cui la fotografia magistrale di Virginie Surdej rende il giusto merito. (La recensione del film "Adam" è di Rosalinda Gaudiano)
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