WOLF CREEK
 

recensione wolf creek

 
Più che un thriller, "Wolf Creek" è un vero e proprio horror di fattura più che pregevole e che difficilmente si dimentica (finalmente il genere "horror" sembra abbandonare la ripetitiva strada dell'autoironia imboccata negli ultimi anni). Basandosi sulla storia vera di uno psicopatico che negli anni novanta si accaniva contro gli autostoppisti terrorizzando l'Australia, Greg McLean (alla sua prima esperienza come regista di lungometraggio) si ispira alle principali idee del "Dogma 95": riprese fatte dal vero, non utilizzo di scenografie e set, suono mai prodotto separatamente dalle immagini e viceversa, cinepresa rigorosamente a spalla, riprese effettuate dove si svolge la vicenda, totale esclusione di illuminazioni speciali, assoluta mancanza di lavoro sulle ottiche e sui filtri. Ma non è una vuota esercitazione stilistica: il tutto appare  
 
completamente funzionale a quanto ci viene narrato e mostrato. Il racconto è ambientato nello splendido parco australiano Purnululu Bungle Bungles, famoso soprattutto per la presenza del cratere di Wolf Creek Crater, causato da un monumentale meteorite caduto circa un milioni di anni fa e venerato ancora oggi dagli aborigeni (giustamente la critica ha sottolineato come il regista "con intelligenza  
creativa riesca a confezionare un horror sadico e paradossale sul rispetto dei confini e sulla difesa naturale degli orizzonti perduti"). Film a basso budget, accolto con molto favore al Sundance Festival e a Cannes 58, è un innovativo e avvincente ritratto della follia che entra nella normalità e che alla fine diventa devastante (e nei confronti della quale non si può che essere totalmente inermi). Film diverso e originale, dove la tensione cresce lentamente fino a diventare quasi insostenibile, dove (senza ricorrere all'abusato soprannaturale) si è sconvolti dai lati più sinistri e mostruosi dell'essere umano. Girato con stile nervoso ed essenziale, "Wolf Creek" contiene scene esplicite ed intense che sicuramente disturberanno non pochi (omicidi e torture sono estremamente efficaci e di notevole impatto visivo, i crimini sono caratterizzati da una violenza e brutalità senza pari), la violenza visiva è mostrata senza ricorrere ad alcun filtro o mediazione... ma nulla appare gratuito e forzato. McLean si rivela abilissimo nello spaventarci e nel modificare la nostra opinione di un'Australia come luogo di viaggi piacevoli e rilassanti. Un horror scioccante, che si fa apprezzare anche per la costruzione dell'immagine e l'uso del colore (e che evidenziano come il regista australiano abbia studiato in passato pittura), un film di fronte al quale è impossibile restare "freddi", neutri: in alcuni momenti potrà sembrare dura da sopportare, ma è impossibile non lasciarsi totalmente coinvolgere da questa sconvolgente esplorazione della natura torbida ed ordinaria della violenza ("un viaggio voyeuristico -come ha dichiarato McLean- in un mondo dominato dal male allo stato puro"). Ottima la colonna sonora. Ultimamente il cinema statunitense ci ha abituato a film infarciti di musiche e canzoni che nulla hanno a che vedere con la vicenda narrata e che sembrano costituire un fastidioso puntello a sceneggiature manchevoli: qui abbiamo invece una musica finalmente al servizio della narrazione, dallo spiccato ruolo emotivo e con la funzione di suggerire i temi più importanti al centro della storia (muta repentinamente quando il film cambia decisamente marcia verso la metà e diventa un qualcosa di totalmente diverso rispetto all'inizio). Da sottolineare infine la bravura di John Jarratt (il killer): veramente inquietante.

p.s. Da ammirare incondizionatamente le ultime sequenze che vedono il trionfare della più cieca violenza sullo sfondo di favolose immagini da accattivante depliant turistico.


(di Leo Pellegrini)

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