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recensione v for
vendetta
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Sulle orme di Edmond
Dantès e Guy
Fawkes. Del primo
persegue l’obiettivo
di una vita, del secondo
porta la maschera
quale monito di un
giuramento che sopravvive
durante i secoli da
quel lontano 5 novembre.
In nome di vittime
innocenti, esistenze
cancellate da un cappuccio
nero, libertà
negate da una morale
ottusa e bigotta il
cui manganello cala
impietoso là
dove diverso rima
irrimediabilmente
con degenerato. In
una Londra neonazista
di un futuro imprecisato,
un giustiziere mascherato
dal sorriso beffardo
e un forbito eloquio
seicentesco si aggira
a minare l’ordine
prestabilito, scardinando
certezze, smascherando
menzogne, risvegliando
coscienze ottenebrate
da manipolazioni insistite.
Se le orecchie vi
cominciassero a fischiare,
ebbene sappiatelo,
non è un caso.
Trova insperati alleati
in una ragazza impaurita |
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che
saprà
vincere
la paura
e un
ispettore
di polizia
in crisi
d’identità
professionale.
"Ho
visto
gente
uccidere
per
conto
delle
idee,
li ho
visti
morire
per
difenderle.
Ma un’
idea
non
si può
baciare,
non
si può
abbracciare.
Le idee
non
sanguinano,
non
provano
dolore.
Le idee
non
amano.
Non
è
di un’idea
che
sento
la mancanza
ma di
un uomo.
Un uomo
che
mi ha
riportato
alla
mente
il 5
novembre.
Un uomo
che
non
di-
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menticherò
mai".
Da un fumetto
del celebrato
Alan Moore,
mai un eroe
mascherato
fu più
mascherato.
A muoversi
sotto il nero
mantello l’Hugo
Weaving di
“Matrix”
(producono
e sceneggiano
i Wachowski
brothers)
che ha sacrificato
l’ego
d’attore
all’impassibile
impenetrabilità
della maschera.
Dalla quale
nemmeno gli
occhi brillano
ma da cui
affiorano
impercettibili
brandelli
di vita sepolta,
poche parole
evocative
di sofferenze
condivise
con chi non
le può
raccontare,
memorie lasciate
a un rotolo
di carta igienica
abbandonato
e poi trovato
e poi assurto
a simbolo
di un riscatto
pagato molto
caro. Magari
non saranno
le basi su
cui il film
poggia a sorprendere,
non propriamente
inedite (il
regime totalitario,
il campo di
concentramento,
gli esperimenti
su esseri
umani, la
vendetta quale
motore della
vicenda),
bensì
i dettagli,
le invenzioni
visive, alcuni
passaggi di
una sceneggiatura
articolata
e complessa
ma ben calibrata,
alcune frasi
incise sulla
pietra (si
veda lo scarno
dialogo tra
il vendicatore
e l’anziana
dottoressa)
e soprattutto
la radicalità
dell’eroe,
la sua abnegazione,
la sua solitudine,
il suo sacrificarsi
ad un ideale
che va al
di là
di tutto,
al di là
dell’amore,
delle speranze,
del futuro,
di sé.
Riserva brividi
il finale,
con il cancelliere
che parla
davanti a
nessuno e
migliaia e
migliaia di
Guy Fawkes
davanti al
parlamento,
puntuali al
fatidico appuntamento.
Perché
un popolo
merita più
di un palazzo.
Perché,
come disse
qualcuno,
parole e idee
possono cambiare
il mondo.
(di Mirko
Nottoli)
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