UN GIORNO PER SBAGLIO
 

recensione un giorno per sbaglio

 
L’ennesima trasposizione in celluloide della crepa nel mondo borghesemente fatato (niente novità nemmeno nel contesto: british middle-high society) dove benestanti famiglie e impeccabili regole crescono, sconvolte dall’imprevisto all’improvviso. Una coppia collaudata (Emily Watson e Tom Wilkinson) che sembra avere come unica preoccupazione l’organizzazione di una lotteria sul green, riceve una telefonata che annuncia la disgrazia. Il marito dell’amata colf è in fin di vita investito da un pirata della strada. Al capezzale si snodano antichi rancori e segreti e il vicino di casa (Rupert Everett, nella sua trecentesima veste di spocchioso/sgarbato gentleman) non pare così estraneo alla faccenda né alla coppia. Altro cova sotto ai tappeti raffinati: l’amata moglie occhi dolci cede al senso di colpa doppio: forse era lei  
 
alla guida dell’auto, sicuramente è lei quella caduta nella rete del vicino affascinante e un po’ rude. Molta carne al fuoco, dilemmi del cuore e di principio: dire la verità? Scoperchiare altarini? Buttare le proprie viscere in pasto al rodimento della colpa o ai roditori di vite altrui? L’intreccio scivola deciso al melodramma per poi virare verso uno svolgimento che non starebbe male nella serie a episodi di “Ellery Queen”. Si riadagia nella  
tragedia quando l’amante scopre di avere un tumore. Il male supremo che tutto aggiusta e appiana e del cui determinante peso specifico è impossibile dubitare umanamente ma in termini di sceneggiatura, sì. Finale strappalacrime sbagliato nei tempi e nei toni e, nonostante l’onesto desiderio di non tenere nulla negli angoli - i dialoghi sono molto schietti e le mazzate sono senza sconti – la trama arranca senza mai andare in profondità, appesantita da una regia da scolaro che l’abbandona sulla pista di partenza.

(di Daniela Losini)

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