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Esce anche nelle sale
italiane “U-Carmen
Ekhayelitsha”,
opera prima del regista
teatrale sudafricano
Mark Dornford-May
e trionfatrice a sorpresa
al 55esimo Festival
di Berlino. Come suggerisce
il titolo, si tratta
nientedimeno della
trasposizione cinematografica
della celeberrima
“Carmen”
di Bizet, affidata
alla compagnia teatrale
Dimpho Di Kopane.
La fedeltà
al soggetto originale
è massima,
per quanto riguarda
il tracciato della
storia: ovvero, la
ben nota vicenda di
seduzione, passione
e gelosia carnivora,
che porterà
alla disgrazia i protagonisti.
Invece tutto il resto
(collocazione storica,
scenario, costumi,
perfino dialoghi)
è stato, per
così dire,
tradotto all’africana.
Non troviamo le barocche
viuzze della Siviglia
ottocentesca, ma i
polverosi slums attorno
alla moderna Città
del Capo; la capricciosa
gitana Carmen è
incarnata |
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(è
il caso
di dire)
nella
matronale
Pauline
Malefane,
così
come
tutti
gli
altri
protagonisti
sono
di pelle
nera;
le danze
degli
zingari
di Spagna
lasciano
il posto
a quelle
tipicamente
africane;
il responso
dei
tarocchi
diventa
divinazione
voodoo;
e persino
del
francese
non
v’è
traccia,
neppure
nelle
numerosissime
parti
cantate,
sostituito
dalla
lingua
locale,
lo xhosa.
Ne è
venuto
fuori
una
sorta
di musical
lirico
in |
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salsa black,
con le meravigliose
arie dell’opera
classica a
farla da padrone,
alternate
ogni tanto
da balli di
gruppo al
ritmo dei
tamburi; durante
i quali (ma
non solo)
la grande
fisicità
degli attori
- su tutte
quella dell’irresistibile
Malefane –
regala nuove
connotazioni
ai personaggi
dell’opera,
generalmente
interpretati
in maniera
molto meno
dinamica.
Un esperimento
coraggioso,
senza dubbio,
e tutto sommato
interessante,
perlomeno
nella sua
idea di partenza.
Tuttavia,
è forte
l’impressione
che non siano
stati fatti
molti sforzi
per addolcire
l’impatto
dell’opera
lirica sul
pubblico;
e che, dunque,“U-Carmen”
resti un film
di nicchia:
confezionato,
più
che per gli
amanti del
grande schermo,
per chi già
si trovava
a suo agio
tra loggioni,
traviate e
flauti magici.
(di Paolo
Cola)
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