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Trans, ossia attraverso.
Attraverso gli Stati
Uniti, in automobile
da New York a Los
Angeles. Attraverso
la storia personale,
per un confronto col
frutto del tempo vissuto,
una riappacificazione
ed un accrescimento
interiori. Attraverso
l’ identità
sessuale, con la finzione
cinematografica ancora
più complessa
di quanto si veda
in scena: nel ruolo
di un uomo che sta
per diventare donna
c’ è
infatti un’
attrice. Vera e intensa,
premiata con il Golden
Globe. Si chiama Felicity
Huffman, ha recitato
in diverse serie e
film per la TV, oltre
ad essere co-fondatrice
dell’ Atlantic
Theatre Company di
New York della scena
off-Broadway insieme
al marito William
H. Macy e David Mamet
(sotto la regia del
quale aveva debuttato
sul grande schermo
nel ’98, ne
“la formula”).
E’ lei l’
anima di questo primo
lungometraggio dello
scrittore, |
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fotografo,
pittore
Duncan
Tucker
(che
lo ha
pure
sceneggiato).
La Huffman
impersona
Bree,
uomo
che
sta
mettendo
da parte
denaro
per
l’
operazione
che
gli
consenta
di diventare
donna
a tutti
gli
effetti.
Scopre
di essere
padre
di un
ragazzo
finito
in carcere,
e dovrà
incontrarlo
per
dimostrare
alla
propria
psicoterapeuta
di poter
fare
i conti
col
passato
ed ed
ottenere
così
l’
autorizzazione
per
l ’
intervento.
Questo
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perché
l’ Associazione
Psichiatrica
Americana
include la
GID (la disforia
di genere,
cioè
la difficoltà
di sopportare
la propria
identità
biologica)
tra i disturbi
mentali. Perciò,
assegnandole
una diagnosi
medica, da
un lato legittima
la transessualità,
ma dall’
altro ne fa
una malattia.
Poi ci sono
i bigotti
genitori (o
meglio, la
madre) di
Bree: hanno
rifiutato
questa scelta
sessuale,
l’ altra
figlia, già
grandicella,
vive ancora
con loro ed
ha problemi
con l’
alcol, il
nipote - di
cui il patrigno
abusava -
si droga,
si prostituisce,
interpreta
film porno.
Nonostante
lo stesso
Bree insegua
un modello
di “normalità”,
essi testimoniano
il fallimento
della famiglia
della media
borghesia
conservatrice.
In un topico,
sofferto e
toccante peregrinare,
la Huffman
si fa coraggiosa,
tenace, fragile
portabandiera
di una umanità
emarginata,
stretta tra
la necessità
di passare
inosservata
e l’
umiliante
discrezionalità
dell’
autorità
sulla ricerca
della felicità
individuale.
(di Federico
Raponi)
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