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Kim Yong-Gyun, che
ha dimostrato le sue
doti girando alcuni
cortometraggi premiati
a diversi festival
internazionali, ha
esordito nella regia
nel 2001 con un film
che in Corea si è
fatto molto apprezzare
per il suo tono intimistico
e malinconico e per
il notevole approfondimento
psicologico dei vari
personaggi ("Wanee
wa Junah"). Tutt’altro
genere, tutt’altro
registro in questo
suo secondo lungometraggio
(il cui Dvd circolava
già da ottobre
in Italia, ma solo
in coreano con sottotitoli
inglesi). "I
must say again that
this movie really
suffer from originality,
everything seems to
have been already
done before, but also,
seems to have been
done in a better way
than this one".
Così si esprime
"Koroshiya",
una review dedita
esclusivamente ad
analizzare gli East
Asian Movies. Giudizio
appropriato: nessuna
originalità
in que- |
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sta
opera
imperniata
sul
triangolo
gelosia-avidità-morte,
con
scene
e situazioni
che
sembra
di aver
già
visto
innumerevoli
volte
e realizzate
in modo
infinitamente
migliore.
La storia
non
funziona:
con
poche
sorprese
nello
svolgimento,
slegata
nelle
varie
parti
e difficile
da seguire
(negli
horror
non
tutte
le domande
trovano
una
risposta
esauriente…
ma qui
si tende
ad esagerare).
Film
neo-gotico,
ispirato
alla
fiaba
di |
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Hans Christian
Andersen e
al celebre
film di Michael
Powell &
Emeric Pressburger
"Scarpette
rosse"
del 1948,
con innumerevoli
citazioni
di precedenti
illustri ("Shinning"
e "Dark
water"
in primo luogo)
si fa apprezzare
per gli aspetti
tecnici :
il particolare
stile visivo
del regista,
la bellissima
fotografia,
l’uso
dei chiaro-oscuri,
gli sfondi
astratti,
il corretto
uso della
macchina da
presa a mano...(ma
essendo il
tutto sempre
uguale alla
fine risulta
monotono e
ripetitivo).
I difetti
superano però
di gran lunga
i pregi. La
regia non
riesce a dare
il giusto
ritmo e a
creare una
doverosa tensione,
le interpretazioni
sono modeste
e senza personalità
(anche se
la protagonista,
Kim Hye-Su,
sembra che
sia una attrice
apprezzatissima
in Corea).
Non ci sono
personaggi
in cui immedesimarsi,
l’attenzione
dello spettatore
non sempre
si mantiene
viva, il tema
principale
del lavoro
(l’avidità
che porta
a perderci)
non è
in linea con
la soluzione
finale del
mistero…
La parte migliore
del film risulta
essere il
flashback
che serve
a spiegare,
nella Corea
del 44 occupata
dai Giapponesi,
la vera storia
delle scarpe
rosse e in
cui è
palese la
bravura dell‘acclamato
coreografo
Hong Sung.
(di Leo
Pellegrini)
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