THE NEW WORLD
 

recensione the new world

 
Difficilissimo mettersi nella scomoda e poco ambita posizione di critico, se dall’altra parte c’è un grandissimo genio come Terrence Malick. Nella migliore delle ipotesi devi solo confermare che quello che hai visto è un capolavoro. Nel peggiore, devi criticarlo. Una sofferenza soprattutto per chi lo ama, come il sottoscritto, e, probabilmente, come la maggior parte di chi legge. Farò quindi una doverosa premessa. Non parliamo di un film pessimo, ovviamente, sarebbe impossibile. Ma del peggiore dei quattro film (in 32 anni!) fatti da questo eccezionale cineasta. Una pellicola travagliata, la cui sceneggiatura risale a quegli incredibili anni ’70 in cui Malick, con quelle che si sarebbero rivelate a posteriori una rapida successione e una mai più ritrovata capacità di sintesi, ci ha regalato quei due eccezionali racconti filmati che sono "La rabbia giovane" e  
 
"I giorni del cielo". Seguirà una lunga e quasi ventennale assenza, che porterà a "La sottile linea rossa". Film che ebbe il merito e la capacità di umiliare Steven Spielberg e il suo "Salvate il soldato Ryan", raccontando la guerra come pochi altri hanno saputo fare, forse come nessuno. Un misto di feroce ironia immaginifica e poesia, una capacità, quella sempre immutata, di scrivere pagine indimenticabili del cinema. Che lo  
strumento fosse (e in parte, sia) una macchina da presa e/o la penna. In "The new world", il regista dell’Illinois racconta la storia di Pocahontas e del soldato John Smith, riprendendo la suggestione della scoperta- stupro del nuovo mondo che già aveva seminato nelle precedenti pellicole, e soprattutto nell’ultima. Il risultato è un insieme di immagini e riprese indimenticabili, una storia d’amore conosciuta e ben raccontata – ma che non giustifica la lunghezza del racconto stesso-, la scoperta di un’esordiente dalla bellezza particolare (Q'Orianka Kilcher) e la forte personalità ed un buon Christian Bale in un ruolo troppo mortificante. Un buon risultato? Forse. Abbastanza buono? Sicuramente no, se pensiamo chi l’ha voluto e girato. Malick cerca poesia e sapori narrativi antichi, ma non l’analisi che lo contraddistingue. Non ci racconta il peccato originale del mondo moderno. La scoperta di quella terra piena di opportunità e pericoli, per sé e per gli altri, che è l’America. Non lo fa direttamente, lo fa molto debolmente tramite la metafora del rapporto sentimentale come incontro, scontro, compromesso, convivenza, consapevolezza. Materiale esplosivo che Malick sacrifica ad un estetismo piacevole ma che non riesce a stupire e sconvolgere come in precedenza. A ciò va aggiunto un Colin Farrell sotto tono, decisamente fuori parte. Cosa dire? Vale comunque la pena di vederlo. Dimenticando il passato e cogliendo tutto ciò che di acuto e sensibile c’è in quest’opera. Quasi inevitabilmente. E valutando che mai come questa volta chi scrive teme e spera di essersi sbagliato. Un’ultima annotazione è, forse, il rimpianto più grande. Terrence Malick, ottenuta la possibilità di fare "The New World", lasciò cadere la concreta possibilità di portare avanti il progetto di Guerrilla, ora passato a Steven Soderbergh. Un film su Ernesto Che Guevara. Diretto e cosceneggiato da lui. Credo proprio che il bravissimo Walter Salles debba ringraziare il destino. E, probabilmente, un errore di valutazione. Con la speranza di non aspettare un decennio o più per rivederti, Terrence.

(di Boris Sollazzo)

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