THE LIBERTINE
 

recensione the libertine

 
Il libertino, ovvero il secondo Conte di Rochester personaggio realmente vissuto nella Londra del diciassettesimo secolo, fu poeta/peccatore per vocazione e condannato dall’amore, si spense a trentatrè anni consumato dal mal sottile. Seminò versi e umori imbrattando Londra, cosce e coscienze, augurandosi/ci di “fottere immaginando”. Utilizzava un linguaggio esplicito e sarcastico sino al parossismo, finendo con l’ottenere una forma di grossolana purezza e verginità d’intenti. Johnny Depp, sa indossarne marsina e vezzi decadenti con notevole carisma. Visse detestando – ma ancor più detestò se stesso con pervicacia - l’approvazione incondizionata del prossimo, salvo poi eleggerlo di fatto a Giudice inappellabile dei propri fallimenti. Ebbe un servo di nome Old Cock (anglofili, siete serviti! E non solo voi),  
 
una moglie devota ma non sciocca, amanti disilluse e la Gran Fregatura – l’amour fou – nelle sottovesti di un’attrice consapevole (una palpitante Samantha Morton). La ragion di stato (nelle veci di Carlo II, John Malkovich, che ben conosce anche la parte del Conte essendone stato l’interprete in teatro) decise di assoldarlo per rifare il trucco alla nazione. Ogni epoca ha avuto i suoi fallaci cantori. Le reali istanze furono  
risarcite da una dissacratoria piecè teatrale che dileggiò con la pornografia la vera pornografia: la pigrizia del potere. L’esordiente Dunmore allestisce un affresco accattivante scegliendo impietose luci naturali, abusando dell’utilizzo della macchina a spalla e restituendo un ritratto capriccioso e affascinante di un ideale – irraggiungibile - di corrispondenza tra aspirazioni e azioni. Cede però traditore al melodramma nella seconda parte che coincide con l’espletamento della cosa giusta, tant’è che quando il libertino si compiange come un pentito/redento qualunque non ci persuade né trova un briciolo di comprensione. Ma eravamo avvertiti. Egli lo sussurrò: “Non vi piacerò”.

(di Daniela Losini)

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